Chuunibyou – Analisi del fenomeno

di Regola 2

 

Come ben sapete il sottoscritto è sempre abbastanza attento a tutto quello che riguarda il fumetto e l’animazione giapponese, con uno sguardo anche alle questioni puramente sociali che alcuni lavori sollevano e portano all’attenzione del grande pubblico. Così accadde qualche tempo fa per il fenomeno dell’hikikomori è venuto il momento di affrontare la moda del momento, il chuunibyou. Avrei voluto trattarlo prima ma avevo altre cose per le mani…

Chuunibyou è un termine che vuol dire pressapoco “sindrome della seconda media“, dalla fascia d’età in cui mediamente si assiste al suo esordio, ma il termine non ha origine in un ambito medico, bensì in quello radiofonico: la paternità del termine è attribuita al conduttore radiofonico Hikaru Ijuin, che lo usò per la prima volta nel 1999, sebbene con gli anni il termine abbia assunto un significato diverso da quello che possiedeva originariamente. Ijuin si riferiva specificatamente ad avvenimenti che hanno luogo in quel preciso anno scolastico, ma come ben sappiamo la rete divora, smonta e ricostruisce il tutto senza la minima premura nei confronti delle reali intenzioni di questi pionieri del linguaggio, e negli anni si sono delineati successivamente svariati modi di manifestarsi della sindrome:

  • atteggiamenti che vanno dall’antisociale all’aggressivo nei confronti di estranei, con continui riferimenti a fantasie di reati o misfatti realmente mai compiuti; viene definito anche DQN (dokyun);

  • improvvisi interessi nei confronti di prodotti di vario genere che siano specificatamente di nicchia , o poco conosciuti, che possono garantire uno status solo per l’appartenenza alla subcultura a loro connessa;

  • emulazione di comportamenti considerati adulti, come cominciare a bere caffè amaro di punto in bianco (provate a farlo in Italia, con la quantità di caffeina che ha il nostro espresso ndRegola) o essere alla continua ricerca di indipendenza e momenti di privacy;

  • conferimento a determinati oggetti e/o azioni poteri magici, feticismo e collezionismo strutturati secondo regole “fatte in casa”, che non hanno necessariamente un reale collegamento con la subcultura di riferimento (pesco sempre la mia Ira di Dio dell’edizione Alpha quando ne ho bisogno ndRegola);

  • illusioni di grandezza, ispirate dalla visione di anime o manga di successo, che portano a rileggere la propria posizione in questo mondo noioso come figure solitarie, sventurate o condannate a un drammatico destino, depositari di poteri magici invidiati da svariate organizzazioni malvagie. È la tipologia più “teatrale” e più spesso usata nell’animazione, e viene definita come “Evil Eye”.

Studi del personaggio di Rikka.

È ovvio che molti di questi comportamenti possono essere raggruppati tra le stranezze tipiche dell’adolescenza, e che non si necessitasse un nome e una classificazione precisa… ma tanti fenomeni hanno inizio nel momento in cui vengono identificati con un nome o un termine specifico, e che questo inizia a farsi strada e essere utilizzato nel linguaggio, in questo caso, degli appassionati di animazione giapponese. Sono sicuro, infatti che molti di voi siano già in grado di identificare alcuni personaggi afflitti da questa sindrome negli anime più recenti: non siamo ancora ai livelli in cui essi sono presenti in tutte le commedie scolastiche, ma comunque se ne possono trovare parecchi, lasciate che vi faccia qualche esempio:

  • l’anime Chuunibyou Demo Koi ga Shitai (detto chuu2) su cui insisto parecchio recentemente ne è un esempio da manuale, ed è anche un bel prodotto dell’animazione sotto molti punti di vista;

  • Kobato Hasegawa, la sorella minore del protagonista di Haganai Kodaka, ne è un altro caso esemplare;

  • Amano Yukiteru, sebbene le sue illusioni si rivelino tragicamente reali, all’inizio di Mirai Nikki è un chiaro esempio di chuunibyou;

  • Yoshiteru Zaimokuza che compare nel secondo episodio di Ore no Seishun è un esempio che potrei definire dei più classici e lampanti, in questo caso ritiene anche di avere talento come scrittore;

  • stessa storia per Eita, il protagonista di Oreshura sebbene la sua sindrome venga narrativamente sfruttata in modo leggermente diversa da quella del protagonista di chuu2 (ma sono molto simili) e Himeka Akishino, una delle sue spasimanti;

  • Mikitaka Hazekura della quarta serie di Jojo può essere considerato un antesignano, aveva la sindrome ancora prima che le fosse dato un nome;

  • Erio Towa di Denpa Onna no Seishun Otoko è una ragazza che per riempire sei mesi di vuoto comincia a credere di essere in realtà un’aliena….

Mikitaka Hazekura.

Sicuramente ci sono tantissimi altri esempi, ma a questo punto penso vi siate fatti un’idea abbastanza precisa. Per quanto riguarda dati non romanzati del fenomeno devo dirvi che esiste pochissima letteratura a riguardo che non è stata nemmeno tradotta: è difficile quindi farsi un’idea di come sia realmente il fenomeno in Giappone, se e come appaia nelle aula delle scuole, e come venga vissuto e elaborato. Però non credo di sbagliare quando affermo che tutti quanti possiamo ritrovare noi stessi in qualcuno di questi comportamenti, dopotutto siamo stati tutti bambini e non è niente di così imbarazzante; il problema sono proprio quei casi che sembrano, per svariate ragioni, protrarsi più a lungo nel tempo. Quando il distacco con la realtà e la sindrome non regrediscono da sole può essere chiaramente un segnale di pericolo per la formazione della personalità: essa sfrutta meccanismi quali identificazione in figure decisamente più “interessanti” a scopo difensivo, allontanando dalla coscienza pensieri spiacevoli, o l’angoscia tipica che si prova quando si è in questa fase di sviluppo. È sostanzialmente l’epica ed eroica resistenza che tutti abbiamo operato nei confronto di quell’adulto muro che tutto depersonalizza e tutto responsabilizza; è anche la paura di attraversare quel muro è vedersi “morire” (metaforicamente) e appiattiti di fronte a tante richieste di standardizzazione… dopotutto, come sono solito ricordare a mò di bisbetico nonno, i pregi sono pochi e sempre uguali, i difetti sono infiniti e ci permettono di differenziarci l’un l’altro. Il senso di appartenza, e la percezione della propria identità sono qualcosa di cui tutti abbiamo bisogno, e diritto di sviluppare come e quando più ci aggrada perchè crescere non significa diventare grigi e perdere la capacità di vedere quel qualcosa di “magico” e bellissimo che si nasconde nella vita di tutti i giorni.

Erio Towa.

N.B.: il processo di identificazione del chuunibyou è leggermente diverso da quello a cui siamo abituati dalla cronaca di questi anni, poichè vi è identificazione ma spesso non il diretto riferimento a un personaggio di fantasia, poichè nell’Evil Eye si è allo stesso tempo protagonisti e sceneggiatori della propria vita. La tematica qui si fa più complessa da analizzare ma ho fatto comunque questo appunto per sottolineare quanto questa sindrome abbia toni egocentrici e narcisistici.

Eita di Oreshura.

 

Commenti (2)

  1. … mi pare che in Italia, quando non a livello clinico, questo fenomeno venga banalmente chiamato “bimbominchiagine” XD

    1. Uh arrivo a risponderti tardi ….. un anno dopo piu o meno …. sinceramente non concordo ….. non tutti i malati di ” Chuunibyou ” o meglio che lo erano ( anche se come termina l’anime …. lo sono tutt’ora ) non possono essere considerati bimbiminchia , essendo in una fascia d’eta che insomma li giustifica piu o meno …. fare bambinate e farsi trascinare dalle cose mi sembra una cosa piu che normale per dei bambini usciti da 2 anni dalle elementari … anche l’uso di bimbominchia secondo me e’ anche troppo frequente ….. e usato male soprattutto 🙂

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