Bentornati a C per Cartoni, la rubrica che vi parla dei prodotti di animazione ‘dell’altra metà del cielo’. Come promesso, oggi si parla della seconda serie di Avatar, chiamata La Leggenda di Korra. Prima di cominciare, lasciatemi spendere due parole per ringraziarvi della calorosa accoglienza che ha avuto questa rubrica: ho segnato i titoli che mi avete proposto, e presto li vedrete! Detto questo, andiamo ad incominciare.
Avatar: La Leggenda di Korra è stato realizzato dallo stesso team che si è occupato della prima serie, vale a dire Bryan Konietzko e Michael Dante DiMartino, ed è andata in onda sul canale Nickelodeon tra il 2012 ed il 2013. Due miniserie, di dodici episodi l’una, praticamente un terzo rispetto alla storia di Aang. In teoria dovrebbero uscire altre due miniserie, ma non ci è dato ancora sapere quando.
Come è lecito immaginare, a farla da padrone è l’Avatar che è succeduto ad Aang, Korra della Tribù dell’Acqua (in base al ciclo dell’Avatar, Fuoco-Aria-Acqua-Terra). All’inizio della serie, il nuovo Avatar padroneggia già tre elementi su quattro, e dovrà trovare il figlio dell’Avatar Aang che le farà da maestro per apprendere il Dominio dell’Aria.

Cambio di protagonista e cambio di ambientazioni: tutto la prima miniserie (Aria) e gran parte della seconda(Spiriti) sono ambientate in una nuova location, una grande città che è stata costruita dopo le vicende di Aang, a simbolo dell’unione di tutte le popolazioni del mondo: Republic City, ispirata in maniera molto poco velata alla Hong Kong degli anni Venti.
Anche la tecnologia ha fatto passi avanti, e da gigante direi: Se nella prima serie avevamo un accenno di navi a vapore e di zeppelin (qualsiasi cattivo che si rispetti deve usare gli zeppelin), qui è un tripudio di macchine(per quanto d’epoca) ed apparecchiature quasi ‘steam’.
Gli stessi Dominatori sono profondamente cambiati: da guerrieri, si ritrovano ad essere criminali organizzati in gang(sullo stile delle Triadi), o a fare gli sportivi in un gioco chiamato Pro-Bending o Dominio Sportivo, la principale attrazione della città.

Le stesse arti marziali che davano origine al controllo degli elementi sono state leggermente modificate, ricalcando più discipline da combattimento sportive: ad esempio Mako e Bolin, due dei protagonisti della serie, fanno uso rispettivamente del Kick Boxing (Mako, per il dominio del Fuoco) e della Boxe (Bolin, per il dominio della Terra). In ogni caso, l’evoluzione tanto dell’ambientazione quanto delle tecniche di combattimento è perfettamente coerente, anche se è normale che possa lasciare l’amaro in bocca, o che porti a paragoni con la prima serie.

Ecco, ora dirò qualcosa che è facilissimo da dire, ma difficilissimo da motivare: La Leggenda di Korra non regge il confronto con il suo predecessore.

Non che lo cerchi, per carità: la differenza di ambientazione serve proprio ad evitarlo, il confronto. Anche i temi sono profondamente differenti: tanto la prima quanto la seconda miniserie sono improntate sulla diversità e sul confronto, tra Dominatori e non Dominatori la prima, tra due tribù uguali ma diverse (più un’altro tipo di confronto, alla base del concetto dell’Avatar stesso) la seconda. Anche i cattivi sono molto meno ‘anni 80’ rispetto a La Leggenda di Aang, un filino più ‘politici’, quasi. Ora, se tutte queste cose sono nuove, i punti di forza di Avatar rimangono: belle scene d’azione, bella ironia, cura assoluta per i dettagli, personaggi (tranne due) ben caratterizzati nonostante il poco spazio a disposizione. Ma allora che cos’è che rende La Leggenda di Korra meno convincente rispetto all’Ultimo Dominatore dell’Aria?
Presto detto: la protagonista. Il difetto principale della serie è lei, in tutto e per tutto. Korra è un personaggio che vive il suo status di Avatar come una coroncina da reginetta del ballo: lei è speciale, quindi tutto le è dovuto. Se si osa questionarla, pianta i piedini e la prende sul personale anche se, in quella situazione, è lei ad avere torto. Questo la porta spesso e volentieri a farsi manipolare, o a trovarsi in una posizione scomoda o sbagliata…e lei comunque non se ne renderà conto: tanto, è la reginetta.

Intendiamoci, questa caratterizzazione di per se non è un male. Anzi, ci può anche stare, dato che Korra è stata cresciuta con la consapevolezza di essere speciale. Tuttavia, il problema di questo personaggio è che, alla fine, il suo pestare i piedini fa si che la storia stessa si pieghi a darle ragione, andando fondamentalmente a banalizzare quanto detto fino a quel punto e lasciando la protagonista esattamente nello stesso stato in cui ha cominciato, con una crescita psicologica pari a zero.

E questo ovviamente influenza tutta la visione del prodotto, e gli fa perdere smalto se paragonato alla prima serie: basta che Korra non compaia e subito le cose si risollevano. Ad esempio, nella seconda miniserie, Spiriti, ci viene spiegato in un lungo flashback tutta la genesi dell’Avatar e dei Dominatori: poesia pura sotto tutti i punti di vista, forse il momento più bello dell’intera opera di Avatar: segno che lo spirito nel fare le cose è quello degli inizi, e la bravura a raccontare anche.
Per carità, La Leggenda di Korra rimane comunque un cartone molto godibile, ma fa lacrimare al pensiero di cosa sarebbe potuto essere con una caratterizzazione differente della protagonista.
A rileggerci al prossimo episodio di C per Cartoni! E per la prossima volta, si cambia completamente genere….