Shonen manga, una prospettiva storica (1998-99)

 

Bentrovati, dopo una pausa causata da lavori forzati, con la prospettiva storica dello shonen (action) manga che da un paio di mesi tormenta i miei sogni, appropriandosi in modo aggressivo di tempi che potrei sfruttare per riposare, o riflettere su quello che devo scrivere. Prospettiva con argomenti che chiunque potrebbe presentare meglio del sottoscritto… anzi, potete scriverci, contattandoci a:

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Dopo questo acido messaggio pubblicitario, necessario a ricordarvi che siamo molto ben disposti nei confronti di vostri eventuali scritti (anche perchè, come alcuni di voi già sapranno, staremmo reclutando), penso sia il caso ricominciare a parlare di quella bellissima passione che sono i manga. Ripartiamo con uno dei meta-universi più noti nel panorama fantasy orientale, soprattutto per la cura con cui è stato ripulito da molti aspetti nipponici e presentato come un vero e proprio sword&sorcery all’occidentale. Nel 1988 Ryo Mizuno cominciò a lavorare ai romanzi di Record of Lodoss War, ma alla base vi furono alcune produzioni per la rivista Comptiq della Kadokawa Shoten: su questa rivista un gruppo di giocatori pubblicava periodicamente i riassunti delle loro sessioni di Dungeons&Dragons. Purtroppo per molti, oltre che un divoratore di fumetto, animazione, e videogiochi vari, per un lungo periodo della mia vita sono stato anche io un Dungeon Master: uno di quei maligni bastardi che godono delle fittizzie sofferenze di personaggi partoriti dalla mente di un gruppo di malcapitati giocatori (Regola come nickname nasce soprattutto in questo ambito; altri mi hanno chiamato Capitan Tristezza). E come tale subisco il fascino, quasi fosse un colpo critico, dell’idea di pubblicare le visionarie avventure partorite dalla mia mente, ma per fortuna, per pigrizia o per umiltà non ho mai pensato di mettere veramente per iscritto le mie storie. Neppure quelle legate alla mia esperienza come narratore di un gioco di ruolo “fatto in casa” targato Naruto. Per ora mi fermo qui, quanto basta per caricare l’hype. Torniamo a Lodoss War, di cui sono stati prodotti sei manga:

  • Honoo no Majin (Il Demone di Fuoco), 1994, disegni di Ayumi Saito, 2 volumi

  • The Lady of Pharis, 1994, disegni di Akihiro Yamada, 2 volumi

  • Welcome to Lodoss Island, 1997, disegni di Rei Hyakushiki, 3 volumi

  • Le Cronache dell’Eroico Cavaliere, 1998, disegni di Masato Natsumoto, 6 volumi

  • La Strega Grigia, 1998, disegni di Yoshihiko Ochi, 3 volumi

  • La Storia di Deedlit, 1998, disegni di Setsuko Yoneyama, 2 volumi

Di questi sei brevi manga Il Demone di Fuoco e Welcome to Lodoss Island sono inediti in Italia, gli altri sono stati pubblicati originariamente da Panini Comics tranne il capitolo di Pharis, che è edito Dynit. Penso che sia chiaro perchè ho deciso di parlare di questo manga piazzandolo nel 1998, sebbene sia un franchising molto più vecchio: ai primi romanzi di successo seguì infatti, nel 1990, una serie anime composta da una dozzina di OAV che gettò le basi per il successo del fantasy di stampo Occidentale in Giappone, anticipando per certi versi Bastard!!, Slayers e Berserk. Vennero prodotti addirittura dei videogiochi targati Lodoss, sempre a partire dal 1988.

Credo che il centro di queste storie, per quanto riguarda il loro valore nell’ambiente fumettistico (non parliamo dell’anime, per favore), sia proprio Le Cronache dell’Eroico Cavaliere, che funge quasi da spin-off, poichè non sono centrali le figure di Parn e Deedlit: Spark, cavaliere alle prime armi, sogna avventura e gloria, ma vive in un mondo dove qualcuno ha già sconfitto il nemico, impersonato dall’armata di Marmo. Eppure, il destino sorriderà a Spark che si ritroverà, con i suoi compagni, al centro di un’altra lotta che deciderà le sorti della isola maledetta dalla guerra di Lodoss. Nella sua costruzione, nella rappresentazione dei poteri dei personaggi (un nano chierico… l’antesignano del powerplaying?), il tutto sembra essere scritto e sceneggiato con un manuale di regole alla mano, ma le azioni dei personaggi non risultano essere troppo meccaniche poichè non si sono dimenticati che un fumetto deve essere soprattutto divertente per chi lo legge. Il tratto volutamente grezzo è da sempre un valore aggiunto per questa serie manga, aldilà della presentazione di un fantasy quasi perfettamente europeo (sebbene, se letto con attenzione, qualche elemento nipponico salta all’occhio) che racconta in modo breve e conciso la genesi di un eroe e di un cavaliere toccando tutti i punti fondamentali di questo percorso; pesa comunque il fatto che un altro paio di volumi non sarebbero stati sgraditi. Le altre serie, eccetto forse quella di Deedlit, più prettamente shojo, descrivono e raccontano con vignette e balloon la genesi e le principali avventure vissute nelle terre di Lodoss, nate dalla fantasia di Ryo Mizuno e rese eterne dai suoi romanzi, immutabili nel tempo per i suoi fan, pronte per essere ampliate dalla fantasia di altri Dungeon Master.

Lo scorso Lucca, tra caffè e stand, ebbi modo di presentare la struttura quasi definitiva della prospettiva storica a Ciampax (talmente abbozzata che allora prevedeva una trentina di titoli, ed era meno calcata la scelta di trattare soprattutto action), chiedendogli se poteva sostituirmi per alcuni autori e/o opere che poco gradisco come appassionato. Mi resi conto successivamente che, il comprensibile desiderio di non stuzzicare la parte polemica dei miei lettori avrebbe seriamente finito per danneggiare la prospettiva stessa, che per quanto possa essere obiettivo e analitico resta strenuamente ancorata alla mia visione olistica del fumetto nipponico. Non occuparmi di un titolo, o di un autore, di rilievo non sarebbe stato corretto: tutti sono bravi a passare la patata bollente a qualcun’altro, vero? Quindi, quest’oggi, vi parlo di persona di Hiro Mashima, di Rave – the Groove Adventure, nonostante sia stato tentato fino a questo momento di pubblicare semplicemente un’immagine bianca da 500×2000 pixel. Direi che ho scelto il male minore.

I manga di Mashima, per quanto mi riguarda, non mi hanno fatto nulla di male, mi sono perlopiù indifferenti, stipati in quell’insieme di cose che esistono e non destano il mio interesse. Tuttavia, Hiro Mashima è una figura che non mi va a genio, per le sue molte caratteristiche e la sua storia professionale, per i suoi aspetti pubblicamente noti e facilmente fraintendibili. E non ritengo di dovermi giustificare se mi sta antipatico qualcuno, ma è fondamentale, a questo punto, presentarvi quell’autore che ha scelto come suo soprannome “Superman“.

Come tutti gli autori della terza generazione Mashima è cresciuto a pane e fumetti, leggendo Dragon Ball e Kinnikuman (manga che non ho trattato per questioni cronologiche, ma approfitto di quest’occassione per sottolineare l’importanza che ancora oggi riveste per certi autori), sognando di diventare un fumettista di successo, di vendere milioni di copie e firmare migliaia di autografi. Ciononostante Mashima abbandonò presto la scuola di disegno a cui si era iscritto, rifiutandosi persino di lavorare presso un altro autore come assistente e preferendo un percorso da autodidatta: credo che la testardaggine sia la caratteristica chiave del suo successo. Mashima, come autore Kodansha, è quello che negli ultimi anni ha venduto di più (superato quest’anno da Isayama con Shingeki no Kyojin) ma allo stesso tempo sembra estremamente in competizione con gli autori di Jump: il fatto che i suoi due autori preferiti abbiano pubblicato su quella rivista la dice lunga sulle sue influenze, sul tipo di lettore che punta ad attirare come professionista, perchè a differenza di altri non si è distaccato molto. Essere nella Kodansha, tuttavia, gli garantisce una libertà di azione maggiore, rispetto ai suoi colleghi della Shueisha, dovuta al fatto che non paga eccessivamente la competizione interna (anche Akamatsu, come autore, ha sempre proceduto per una sua strada personale) e che non ha pesanti limitazioni in fatto di fan-service, poichè Weekly Shonen Magazine è nota per la presenza di servizi fotografici di idol (gravure idol, per la precisione, ovvero modelle specializzate in bikini). Anzi, direi proprio che pare motivato da questo ambiente a disegnare una cosa per cui è particolarmente famoso: le tette.

Mashima è un autore spavaldo, aggredisce la scena manga come pochi altri autori, facendo piovere tweet come fossero grandine sulla testa di noi blogger che dobbiamo sempre tenere d’occhio le novità, qualora volessimo essere il più possibile tempestivi e preparati nel rispondere a certi quesiti. È privo persino della tipica umiltà di circostanza che gli autori giapponesi mostrano in pubblico: arriva a vantarsi delle 7 ore che riesce a dormire e delle 64 pagine che può arrivare a produrre (insieme ai suoi assistenti) alla settimana, tradendo molto quella figura sempre pensierosa, stressata e stanca, che incarna il mangaka classico (Mashima ha iniziato a usare la colorazione digitale con Fairy Tail, cosa che non riduce necessariamente i tempi di lavoro); nonostante sia oberato di lavoro come tutti i suoi colleghi riesce a trovare tempo per giocare a videogiochi e guardare anime, a pubblicare disegni e schizzi con un ritmo tale da togliere lavoro ai frequentatori di deviantART. È talmente tanto conscio del fatto che è più importante istigare la fandom che produrre un manga (concettualmente) il più valido possibile che pare sempre rilassato, allegro e mai dubbioso sulla necessità di usare parte del suo tempo libero per arricchire il suo manga di contenuti. Perchè se lo shonen è spesso criticato riguardo alla piattezza delle sue tematiche, Mashima amplifica fino all’inverosimile questa percezione.

Leggo di persone che sostengono, in virtù di alcune similitudini tra i loro lavori, che Oda e Mashima si conoscano e siano amici. Io non voglio negare questa possibilità, ma per settimane ho cercato una fonte ufficiale, tra interviste e dichiarazioni varie (non possiedo le versioni cartacee dei lavori di Mashima, quindi se qualcuno ha informazioni a riguardo le riterrei molto utili), che lasciassero chiaramente intendere l’esistenza di questo rapporto di amicizia, senza trovarla mai. Non voglio negare che i due possano essersi conosciuti successivamente al loro successo, ma dubito che Oda, sempre oberato di lavoro, abbia modo di intrattenersi con autori di altre case editrici quando a fatica riesce a passare del tempo con amici che ha dichiarato di ammirare e rispettare (Watsuki, Takei, Shimabukuro); non esistono leggi che vietino ai mangaka di frequentare la concorrenza (Araki e Hara vanno spesso a cena insieme, sono noti per essere buoni amici). Non avendo dati sulla vita privata non posso confutare questa presupposta relazione d’amicizia, ma devo comunque far presente che Mashima, noto per la sua capacità di attirare l’attenzione, è perfettamente conscio di cosa è necessario fare per avere successo: basta che se ne parli, non importa come. E non mi sembra un autore che si fa degli scrupoli…. ma ne parleremo ancora quando al banco degli imputati ci sarà Fairy Tail. (Metto qualche immagine facilmente recuperabile in rete; intendiamoci, non sono tra i sostenitori dell’ipotesi plagio poichè i due manga, tra le tante similitudini, hanno anche molte differenze.)

Un’altra grande influenza al lavoro di Mashima sono sicuramente i videogiochi, in particolare, gli rpg alla giapponese, come testimoniano alcuni aspetti di Rave, e la produzione da parte di questo autore di Monster Hunter Orange (2008-2009). Le maggiori influenze mi sembrano venire proprio da alcuni Dragon Quest, Chrono Trigger (SNES 1995) e Wild Arms (Playstation 1996): penso sia possibile ampliare questa lista, ma sarebbe superfluo, poichè questi tre rendono molto chiaro il tipo di sceneggiatura costruita in Rave. La sua caratteristica più evidente è proprio la sua sorprendente linearità, la storia infatti procede sempre spedita: pagina dopo pagina, a volte in modo leggermente troppo prevedibile, gli eventi si susseguono con la naturalezza che ricorda proprio quella dei videogiochi dello scorso decennio che risultavano trascinanti sfida dopo sfida, esplorazione dopo esplorazione. Mashima non è un autore che si perde in chiacchiere, perlomeno, in quanto sembra avere un’idea abbastanza precisa di cosa vuole disegnare. Non perde tempo con complesse spiegazioni, e i poteri che concede ai vari personaggi sono sempre di semplice assimilazione per il lettore; non sfrutta spesso i famigerati “training arc” preferendo far crescere i protagonisti attraverso una continua successione di battaglie sempre più difficili. I poteri del protagonista, Haru, trovano fondamento nel “qui e ora“, spuntano fuori spesso in maniera conveniente con la scusa che questi è già incosciamente a conoscenza di tutte le abilità in suo possesso; sembra quasi che le acquisisca salendo di livello.

I cattivi stessi non sono mai veramente responsabili della loro malvagità: Mashima sceglie di far combattere i suoi antagonisti con delle pietre magiche chiamate Dark Bring che conferiscono utili poteri, ma che corrompono lentamente l’animo del loro proprietario. Tanti, troppi personaggi spesso vengono giustificati da un background triste, con vite piene di tragedie, vittime di aver ripiegato sui Dark Bring per trovare fuga o sollievo alla sofferenza del loro animo, sprofondando quasi volontariamente nella malvagità più gratuita. Questo vuol dire che il compito di Haru è soprattutto quello di salvare molti di questi malcapitati, caricandosi di responsabilità e impegni opprimenti, che sembrano volergli poi negare ogni via di fuga e ogni libertà dalla sua missione come Rave Master, che finisce per diventare, a tratti, il fondamento stesso della sua personalità. Non che questo sia un male, non lo è neppure il fatto che la tragedia sia spesso facilmente servita come tema principale e risolta con la stessa rapidità che l’ha vista sorgere; la storia risulta essere però particolarmente edulcorata, talmente lineare da apparire in certi casi prevedibile… tanto prevedibile che l’autore stesso non trascina troppo a lungo i piccoli inganni che semina di tanto in tanto, senza indugiare mai nelle risoluzioni e mantenendo quella rapida successione di stati d’animo perfettamente cronometrata. A differenza degli autori Shueisha Mashima non soffre di alcune castranti imposizioni dragonballiane, ma resta comunque fedele alle indicazioni di una casa editrice che preferisce rendere i suoi personaggi resistenti, o duri a morire o immortali, piuttosto che riportarli in vita. E forse per questo Mashima uccide poco, ma i suoi personaggi sembrano non morire sempre per ragioni che non posso fare a meno di trovare sempre troppo simili (perchè, come dicevo, non si perde in chiacchere).

Eppure Mashima è riuscito ad assestare qualche bel colpo di sceneggiatura. Nella sua struttura globale Rave è caratterizzato da tempi narrativi impeccabili, sia nel senso che è facilissimo intuire in quante tavole racconterà uno sviluppo preciso, sia nel senso che la durata del manga e delle vicende raccontate è tale che tutto accade con un tempismo non indifferente, probabilmente perchè Superman ha potuto lavorare con tranquillità in un ambiente dove si trova perfettamente a suo agio; cosa alla quale raramente si assiste nella Shueisha. Ho sempre trovato buone le vicende personali dei protagonisti Haru e Elie, movimentate da altarini presentati sempre al momento giusto, ma quello che devo onestamente classificare come un vero e proprio tocco di classe è l’epilogo del personaggio di Sieg Hart (chi ha letto Rave potrebbe capirmi). Rave termina nel Luglio 2005 (stesso mese in cui era iniziato, nel 1999) ma Mashima torna alla ribalta con un nuovo manga poco più di un anno dopo. Nell’Agosto 2006 inizia la pubblicazione di Fairy Tail, che personalmente riassumerei con questa formula:

 Perdonatemi questo piccolo troll, che introdurrà alcune future tematiche. Gran brutta questione, quella dei troll, che ho preferito non affrontare oggi (non perchè relativa a Mashima, è più legata al comportamento di un nutrito campione della fandom moderna) ma sicuramente sarà al centro di quest’analisi, sollevata magari da qualche titolo più recente. Cambiamo discorso: in questi giorni, come saprete, abbiamo caricato Disqus per gestire i commenti del sito. Popolare o meno che sia questa scelta, vorrei ricordarvi che nei limiti del possibile cercheremo di venirvi incontro e aiutarvi a risolvere eventuali problemi; contattateci quindi sul forum o sulla pagina di Facebook. Vi saluto, quindi, e vi ringrazio per avermi seguito anche in questo quattordicesimo appuntamento della prospettiva, che tornerà appena mi sarà possibile con uno di quei titoli che sicuramente state aspettando dall’inizio: Naruto.

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