Naruto, One Piece, Bleach: lingua e linguaggio (1)

Salve ragazzi! Come va, tutto bene? Scusate per l’assenza della scorsa settimana, ma i problemi personali spesso tendono ad allontanarti dalle cose piacevoli… e se a questo aggiungete una connessione “salterina” che ti porta a citare, in associazione con parole non proprio “politicamente corrette” nomi di Santi e Angeli presi a caso dal calendario, vi rendete conto che la scorsa settimana non ero proprio nello stato migliore per poter scrivere questa mia rubrica (che noto con piacere ha un discreto numero di fan!).

Come avrete capito dal titolo (e dalle frasi sibilline con cui ho concluso il quarto appuntamento con i co-protagonisti) iniziamo quest’oggi (ma non continuerò la prossima settimana e presto capirete perché) a parlare di faccende meno legate alla “storia” dei manga e più vicine invece alle “tecniche” con cui esse vengono realizzate: da buon ex-traduttore di One Piece (mi manca un sacco non poterlo fare più, ma il tempo è quello che è!) mi sembrava giusto cominciare questa esplorazione delle “tecnie” dietro la storia proprio dalla lingua e, in particolare, dal linguaggio (in generale) che i tre mangaka hanno adottato (sin dai primi capitoli) nelle loro storie.

 Permettetemi di spendere 2 o 3 parole sulla lingua giapponese: non starò a farvi un corso, ma voglio solo “sottolineare” alcune caratteristiche presenti in questa lingua, nella sua grammatica e nella sua “scrittura” che in generale la rendono tanto particolare rispetto ad altre. Per prima cosa bisogna tenere presente che la grammatica giapponese è abbastanza semplice (paragonata a quella Italiana, si avvicina molto a quella Inglese): poche coniugazioni, poche declinazioni, termini quasi tutti scritti nella loro forma “usuale” (non coniugati/declinati), ma che vengono accompagnati da un “sacco” di particelle. E’ qui che risiede la particolarità di questa lingua, che spesso porta ad interpretazioni diverse della traduzione di una frase o del senso che essa dovrebbe avere. Vi faccio un esempio (totalmente inventato, per cui non so se c’è un corrispettivo Giapponese) per darvi il senso di questa cosa. Supponete di “voler mandare in quel posto” qualcuno: bene, in Giapponese potreste usare, sostanzialmente, 3 modi per farlo.

Da una parte c’è una espressione “precisa” e “grammaticalmente/stilisticamente” corretta che traduce, in toto, il nostro “vaffa….“! Dall’altra, a causa della ossessione per la scelta dei termini più “appropriati” da utilizzare nei vari contesti per riferirsi a persone, animali o cose, potreste trovare una serie di “varianti” a questa forma corretta, ciascuna delle quali che cambia per una desinenza maggiormente forte delle altre, per un prefisso o suffisso in più o in meno, per la scelta di un verbo più “forte” o meno “forte” (se preferite, più o meno attinente al senso che volete dare alla frase): in particolare, potreste trovare frasi “letteralmente” diverse (e qui quel “letteralmente” sta ad indicare che, scritte, le frasi potrebbero essere completamente diverse, per scelta dei caratteri, ma sostanzialmente identiche nella pronuncia, miracolo dei kanji!) e questa differenza sarebbe tanto più marcata quanto più si tenda ad assimilare il linguaggio specifico di una particolare “regione” del Giappone (il famoso “dialetto del Kanto”, ad esempio, che compare sovente nei dialoghi di manga scolastici!).

Tuttavia ci sarebbe un terzo modo di “indicare gentilmente (o meno) a qualcuno la strada per giungere in una località angusta e buia, dove la luce tende a battere poco, per soddisfare suoi bisogni primordiali lasciando da parte tutte le convenzioni etiche e morali del caso“: ed è esattamente quella che ho virgolettato! Non avete capito? Mi spiego meglio: in Giapponese esiste una tale “spropositata” quantità di suffissi, prefissi, desinenze, appendici, suoni, singulti, esclamazioni e chi più ne ha più ne metta che possono indicare di tutto: da un luogo, ad un nome, da una qualità, ad una quantità, che possano sottindere azioni sia in forma passiva che in forma attiva, e via discorrendo. Per cui, un giapponese abbastanza “vessato” nell’uso di tali costrutti grammaticali, potrebbe effettivamente allegare, al semplice verbo “andare” una decina (ma anche di più!) di tali desinenze per specificare, come ho fatto io sopra usando, tuttavia, sostantivi ed aggettivi, la località in cui potreste trascorrere i vostri prossimi istanti felici!

 Detto questo, possiamo subito “classificare” lo stile “generale” che i nostri tre mangaka adottano per scrivere le loro storie. Kishimoto è sicuramente, tra i tre, quello più attento al “purismo” della lingua: leggere un dialogo di Naruto equivale a leggere un testo “asettico” e grammaticalmente perfetto” della lingua italiana. Kishimoto adopera con cura la scelta dei vocaboli e la loro posizione all’interno della frase, segue costrutti precisi e regolari che potrebbero benissimo essere utilizzati per scrivere un libro sulla grammatica Giapponese: questo rende i capitoli di Naruto facilmente leggibili anche a chi è un “novellino” della lingua, tuttavia causa un grave problema nel comprendere le “sfumature” (di qualsiasi tipo) che l’autore intende celare nei suoi discorsi. Ecco che spesso (e mi è capitato più di una volta leggendo capitoli tradotti in inglese) certe frasi risultano più o meno “forti” rispetto alle immagini che le accompagnano, probabilmente perché chi ha tradotto non ha “subodorato” la presenza di una certa particella che tendeva a dare un senso più leggero (o più consistente) al dialogo in questione e che lo legava maggiormente alla vignetta in cui veniva inserito.

 Per quanto riguarda Bleach, invece, i (pochi) dialoghi presenti risultano una dura sfida per chiunque: Kubo ama, adora e (suppongo) quasi gode a fornire i singoli personaggi di accenti del tutto personali (ci sono alcuni personaggi, in special modo i Vizard, che parlano con un accento che è un misto tra quello di Osaka e alcuni dialetti del sud) in modo da sottindere la loro provenienza da “ogni luogo” possibile (ricordatevi che chi vive nella Soul Society è sostanzialmente un’anima trasmigrata, per cui, a rigore, dovrebbe provenire da ogni parte del mondo) e quindi rendere con maggior forza l’idea di “globalità” che il manga stesso deve presentare per necessità.

 Infine veniamo ad Oda: il caro Eiichiro è quello, tra i tre, che scrive discorsi interminabili di 50 caratteri, in cui solo 10 rappresentano parole di senso compiuto mentre le altre 40 sono tutte particelle! Vi giuro che ci sono stati momenti, nel mio passato di traduttore, in cui avrei volentieri programmato un missile SCUD affinché andasse a farlo saltare per aria! Oda è il meno “confidente” con la grammatica (non che le sue frasi siano “scorrette”) ed è quello più avvezzo alla rielaborazione di termini, costrutti ed espressioni: proprio su questa sua capacità di “modificare” il senso delle frasi e il linguaggio dei protagonisti sta la forza nel trovare gli innumerevoli giochi di parole, parlate “strane” (pensate ad Ivankov, Shiryu e i vari Odr… Ogr… Orz… quelli insomma!). Giusto per darvi un esempio concreto, ricordo un capitolo dei tempi di Marineford in cui Rufy dice qualcosa del tipo: “Devo salvare Ace a tutti i costi!”. Nella versione originale, sostanzialmente c’è scritto così

Ace Io salvare per tutto qualsiasi cosa in ogni modo andare.

Vi rendete conto che senza un minimo di fantasia (e senza conoscere alcune regolette di base su come si piazzano tutte queste particelle in una frase) capire che l’espressione “per tutto qualsiasi cosa in ogni modo andare” significhi, letteralmente, “come vada vada in ogni modo” e quindi un più prosaico “a tutti i costi” diventa alquanto ingarbugliato! In ogni caso Oda è fatto così e ce lo dobbiamo tenere!

Bene, a questo punto vorrei fermarmi. Dicevo che la prossima settimana non parlerò,  nuovamente, di linguaggio, ma sposterò la mia attenzione su altri argomenti (non vi dico quali)! Vorrei, invece, che mi diceste se avete trovato interessante questa “puntata” e quali sono le vostre curiosità in merito alla “lingua giapponese” parlata in questi tre manga. Vi do appuntamento come sempre alla prossima domenica e vi auguro un buon inizio di settimana!