Torno alla nostra rubrica narutiana con un pensiero che probabilmente in molti avete da diverso tempo: a quanto prima che Obito si converta? Penso che tutti i lettori di Naruto, chi più chi meno, abbiano almeno una volta pensato che Obito prima o poi si possa convertire, definitivamente o meno, alla causa di Naruto. La stessa domanda però è da sempre associata ad un altro personaggio, Sasuke.
Oggi voglio quindi parlare di cosa Kishimoto intende con “conversione“, esempificandone alcune, per introdurre il prossimo articolo che sarà focalizzato proprio sui casi specifici, ed ancora ricchi di variabili, di Obito e Sasuke.
Vorrei innanzitutto iniziare con cosa la grammatica italiana intende con “conversione”, dal voc. Treccani:
“Nel linguaggio comune, “conversione” indica il passaggio a un’altra religione, qualsiasi mutamento radicale di fede, opinioni ed ideologia religiosa, artistica, letteraria, politica.”
Il termine, che noi tutti parlando degli avvenimenti del manga usiamo spesso senza troppe riserve, è effettivamente legato ad un ambito religioso-politico, ad una causa che prevede una riposizione di fedeltà nei suoi principi. Quello che bisognerebbe considerare dunque è cosa Kishimoto intende per “conversione”. A mio modo di vedere, piuttosto che basarsi sulla fede in qualcosa di organizzato ed esterno a sè stessi come un movimento politico o una religione, Kishimoto si sofferma sugli ideali interni, più intimi e reconditi dei suoi personaggi. Qualcosa di simile a quanto fatto da Lucas con Darth Vader, presentato come intrinsecamente malvagio con i risvolti che poi conosciamo (e la doppia conversione, del tutto simile a quella che potrebbe avere Obito). Ormai è chiaro che a Kishimoto non piacciano i cattivi senza scopo ma soprattutto senza possibilità di conversione, senza un background che consenta un cambiamento di ideali: abbiamo avuto alcuni esempi in tal senso come Hidan e Kakuzu, personaggi infatti usati come punto chiave per i protagonisti e quindi abbandonati una volta adempiuto al loro scopo.
A suffragio di questa mia convinzione vi porto alcuni tra gli esempi che ritengo tra i più importanti del manga per quanto riguarda un cambiamento netto ed importante di punti di vista radicali: Zabuza, Gaara e Nagato.
Servilismo (Zabuza): lo abbiamo conosciuto nei primi numeri del manga e lo abbiamo ritrovato centinaia di capitoli dopo la sua dispartita e quella del suo compagno Haku. Nonostante il messaggio fosse chiaro già allora l’approfondimento breve ma intenso operato da Kishimoto durante la Quarta Guerra mondiale dei Ninja è sicuramente interessante. Haku muore sacrificandosi per Zabuza, con la convinzione di aver vissuto come oggetto al servizio del suo mentore e padrone, un rapporto utilizzatore-strumento su cui Kishimoto insiste più volte in tutto il manga, pensate anche solo al triangolo Madara-Obito-Nagato, a Danzo-Sai o Danzo/Hiruzen-Itachi. Eppure Zabuza, prima di morire e riscattare la propria umanità, accetta di esporsi di fronte a Naruto e di dichiarare il suo amore sopito e quasi paterno nei confronti di Haku. Kishimoto più che una conversione qui imbastisce un “ritorno alle origini”, Zabuza ha sempre amato Haku ma non ha mai voluto ammetterlo davanti a lui ma nemmeno davanti a sé stesso. Naruto aiuta il Nukenin di Kirigakure ad accettare la propria umanità. Emblematica è la frase che Zabuza dice a Kakashi poco prima di essere lui stesso trasformato in un strumento di morte da Kabuto: “Sono già morto.. e sono morto come essere umano”. Una rivendicazione importantissima, che esprime quanto questo personaggio sia cresciuto, si in poche pagine, ma con uno scatto di rivalsa molto potente. Ironia della sorte Zabuza nega il servilismo del mondo dei ninja poco prima di caderne lui stesso vittima, anche questo un messaggio che l’autore cerca di far pervenire agli occhi del lettore.
Egocentrismo (Gaara): lo ricordiamo tutti il Gaara dei primi capitoli in cui compare, totalmente dedito all’auto-compiacimento, spossato dalla follia a cui è stato indottrinato si da neonato eppure costantemente alla ricerca di uno scopo. Questo è ciò che Naruto dona lui nel loro epico, drammatico scontro: un motivo per cui lottare. Il tatuaggio-sigillo sulla fronte di Gaara significa “Amore”, tra le parole più ambigue e significative che esistano. Amore che inizialmente ripone in sé stesso, complice un misantropismo prepotentemente radicato nella sua educazione, odiare il mondo intero e cercare nutrimento per il proprio odio, negando la sua ragione umana. L’incontro con Naruto risveglia in lui l’Amore verso il prossimo, e questo è possibile unicamente grazie all’esempio, la forma di insegnamento più incisiva che esista. Mostrando il suo Amore verso i propri amici Naruto traccia una nuova via per Gaara, ora deciso a difendere e lottare per i propri fratelli ed il proprio villaggio (come farà poi contro Deidara a Sunagakure) abbracciando il suo nuovo scopo di vita. Come detto però Kishimoto ama insistere sugli aspetti chiave del suo manga, ed ecco che ripropone la questione durante la guerra. Gaara scopre da suo padre, ritenuto a torto ma anche a ragione colui che ha distrutto la sua vita, la verita su sua madre Karura. Ecco che anche il simbolo di quell’Egocentrismo sostanziale, l’Amore che ha tatuato sulla fronte, si trasforma definitivamente in filantropismo ed amore verso il prossimo coronando una lunga ed agognata conversione.
Nichilismo (Nagato): parliamo infine di una delle conversioni più discusse ed odiate del manga, che io ritengo invece la più riuscita, poiché porta con sé un messaggio caro a Kishimoto su cui insiste in modo testardo sin dal primo capitolo del suo lavoro. Nagato è sostanzialmente una persona che non riconosce all’umanità la capacità di auto-regolamentarsi, “homo homini lupus est” (“l’uomo è lupo con gli uomini”) direbbe se conoscesse il famosissimo passaggio di Plauto. Eppure anche Nagato nasce come personaggio con una naturale propensione alla compassione. Come Naruto, Nagato crede nell’amicizia sopra ogni cosa, perchè questa è l’unica forma di affetto che ricorda da quando ha perso i genitori ed ha dovuto affidarsi unicamente al suo rapporto fraterno con Konan e Yahiko, poi tragicamente devastato dalla guerra. Naruto, nuovamente con l’esempio, interviene mostrando come anche per lui sarebbe stato facile negare una chance al mondo che lo ha privato di tutto: famiglia, amici (Sasuke), maestri (Hiruzen e Jiraya). Lo fa perdonando proprio uno dei suoi carnefici (si ripeterà con Obito, ma ne riparleremo). Kishimoto è però giapponese e non ci presenta quindi un perdono cristiano, in cui basta una confessione spontanea per veder cancellate tutte le proprie azioni malvage. Nagato deve mettere alla prova la sua rinnovata fiducia nel mondo sacrificando la sua vita per quella chance che ha negato in tanti anni d’imbarbarimento e cancellando sè stesso dal marciume a cui ha partecipato (simile al sacrificio di Jor-el e Lara nell’ultimo “Uomo d’Acciaio” di Zack Snyder). La conversione di Nagato è quindi quella più spontanea e dovuta, in un manga fatto di contrasti mortali e guerre per la supremazia, che abbraccia il semplice ma potente credo del protagonista fatto di sacrificio, di esempio e fiducia nel prossimo, insegnamento ricordato al protagonista con grande saggezza da Itachi.