Le sigle originali di una volta – CMM 12

di Ciampax 6

Lasciatemelo dire: mi reputo molto fortunato. Per una serie fortuita di eventi, infatti, sono nato in un periodo di grandi stravolgimenti mediatici: uno fra tutti, quello della nascita delle prime reti private e dell’arrivo, sulle frequenze televisive italiane, dei primi prodotti esteri. E mentre i miei genitori potevano gustarsi serie televisive come “Alla conquista del West” o “La casa nella prateria”, io, allora bambino di poco meno di 3 anni, restavo a bocca aperta a guardare i vari Goldrake e Mazinga Z che sconfiggevano il cattivo di turno. E a volte, il motivo per rimanere a bocca aperta arrivava ancor prima dell’inizio dell puntata del giorno!

Premetto una cosa importante: scrivo questo articolo sulla scia dei ricordi e non di una “documentazione” attenta: questo perché mi sembra giusto così. Chiunque voglia aggiungere qualcosa a ciò che dirò nel seguito è libero (anzi, “pregato”) di farlo.

Dicevo che, spesso e volentieri, prima dell’inizio della storia c’era ragione di stupirsi: il motivo, molto semplice, stava nella tipologia di alcune sigle che accompagnavano gli anime che, negli anni Ottanta, cominciavano a diffondersi a macchia d’olio nei palinsesti delle nostre TV private e non. Mentre nella maggior parte dei casi gruppi storici come i Cavalieri del Re o i Superobot/Rocking Horse si preoccupavano di scrivere e musicare delle colonne sonore “adatte” all’anime di turno, così che le stesse divenissero “leit-motiv” di accompagnamento per i piccoli spettatori dello spettacolo animato che si andava a guardare, in alcuni casi, vuoi per la mancanza di finanziamenti, vuoi per una decisione presa a monte della distribuzione, si preferiva (o si doveva) lasciare che l’anime fosse introdotto dalla sigla originale giapponese. In quanto segue, vi presento alcune delle “vecchie” sigle originali di alcuni anime molto famosi i quali, probabilmente, sono stati involontari precursori di quel fenomeno attuale per cui si preferisce, sempre di più, avere un prodotto sempre più fedele all’originale, iniziando, appunto, dalla sigla stessa.

Hurricane Polimar. Quanti ricordi legati a questo eroe della Tatsunoko! Il giovane Takeshi si trova a dover amministrare un grande potere: un casco ipertecnologico che gli permette di trasformarsi, grazie ad una particolare miscela polimerica (plastica!) in un potente supereroe in grado di assumere assetti da combattimento tra i più svariati. Ricordo che Polimar era un “supereroe” molto poco “politically correct”: spesso e volentieri, il cattivo di turno gli faceva talmente perdere la pazienza da portarlo a tempestarlo di colpi fino allo sfinimento! Ecco a voi sia la opening che la ending di questo anime.

Kyashan, ragazzo androide. Altro fondamentale personaggio creato dalla Tatsunoko, Kyashan (Kasshern) e un androide che riceva la vita grazie al sacrificio del giovane Tetsuya: questi infatti, per aiutare il padre nella guerra contro i quattro Cyborg da egli stesso creati, decide di far innestare la proria anima nel corpo robotico dell’eroe in tuta bianca, accompagnato dal fedele cane robot Flender (in grado di trasformarsi in 5 veicoli differenti) e dalla giovane Luna (armata dell’unica arma in grado di distruggere le macchine al servizio dei Cyborg ribelli).

Tekkaman, il cavaliere dello spazio. Sempre la Tatsunoko (che ormai aveva preso l’abbrivio nel creare storie su simil-supereroi basandosi sul modello del comics americano dei tempi) creò questa storia di fantascienza classica, in cui una razza aliena cerca di invadere la Terra. Realizzata con una idea di fondo in stile storia del Far-West e con voluti riferimenti alle tematiche “allucinatorie” dell’arte anni Settanta (guardare troppo gli alieni di questo anime, colorati in verde/giallo/viola equivale ad un trip!) e alla cultura Pop del periodo (il taglio di capelli del coprotagonista, Andro Umeda, la dice lunga!), Tekkaman si focalizza sulla tormentata vicenda di George, unico essere umano in grado di affrontare il Tek-setter all’interno del robot Pegasus e divenire così una sorta di miscuglio umano/androide in grado di combattere nel vuoto cosmico: tutto ciò a rischio della sua vita, in quanto tale procedura si rivela essere letale per l’organismo umano.

Zambot 3. Questo è un anime che, da piccolo mi colpì tantissimo, soprattutto per il suo finale in “tragedia”. La storia è molto semplice: una intera famiglia extraterrestre, i Jin,  si rifugia sulla Terra per contrastare il dominio dei Gaizok e del loro sovrano, il “Macellaio”, usando tre potenti macchine da guerra in grado di fondersi nel robot guerriero Zambot 3. La serie aveva la sua forza, tuttavia, nella caratterizzazione dei personaggi e nell’analisi dei loro sentimenti in relazione alla guerra: nonostante i Jin siano sulla terra per portare aiuto, vengono visti con diffidenza dai terrestri, e varie volte i Gaizok approfittano di questa situazione, riuscendo anche a seminare zizzania tra i membri della famiglia extraterrestre. Il finale dell’anime, in cui in successione, molti personaggi si sacrificano per lasciare, infine, il protagonista vincitore e solo, è forse uno dei più amari mai concepiti per un anime di guerra.

Maison Ikkoku (Cara dolce Kyoko). Forse tra tutti gli anime che ho qui citato, quello più recenti tra quelli del passato. Maison Ikkoku è tratto dal manga omonimo di Rumiko Takahashi e, nel tipico stile dell’autrice che mischia comicità e serietà in modo esplosivo in una perfetta “commedia degli equivoci”, narra le vicende del giovane Godai, affittuario di una stanza nel residence gestito dalla bella Kyoko, da poco vedova, di cui lo stesso si innamora. Le vicende della vita del protagonista si mixano in modo unico con quelle degli altri inquilini e della proprietaria, creando situazioni a volte davvero demenziali. Qui di seguito la prima sigla originale (questo anime ne vanta molte, anche se di breve durata): Kanashimi yo Konnichi wa.

Goshogun (Gotrinitron). Ecco, questo è uno di quei casi in cui l’arteriosclerosi comincia a farsi sentire. Ho un ricordo vago di questo anime che, tuttavia, mi lascia una sensazione di “qualcosa di veramente bello”. Lo ricordo come una storia a metà tra il classico cartone animato con i “robottoni” e una sorta di vicenda di spionaggio e doppio gioco (forse al tempo in cui lo vidi la prima volta, nel 1982, un po’ troppo complesso da capire per me che avevo solo 5 anni!). Vi lascio alla sigla di questo anime di cui, quasi quasi, un giorno scriverò una recensione accurata.

Transformers (G1). Dopo i due film del regista Michael Bay non credo ci sia bisogno di presentare questa serie, che narra le vicende della lotta tra i buoni Autobots (Autorobot) e i perfidi Decepticon (Distructors). L’anime, che era stato realizzato per il mercato Americano (grazie al fatto che la Hasbro aveva iniziato a produrre i modelli trasformabili dei protagonisti) arrivò in Italia con la sigla inglese originale, di cui, allora, non capivo una singola parola (a parte il “The Transformers…” iniziale!). Ah, quanti ricordi!

Mask. Questo era uno di quegli anime che mi teneva incollato allo schermo (forse anche più del precedente): le vicende della squadra MASK (Mobile Armoured Strike Kommand) che si opponeva alle mosse criminose del gruppo VENOM (Vicious Evil Network Of Mayhem) nascondeva una piccola faida familiare. I due capi, infatti, erano fratelli che, desiderosi, il primo, di usare la tecnologia per proteggere il Mondo, per governarlo il secondo, si scontravano grazie all’uso di potenti veicoli trasformabili e all’uso di particolari “maschere” dotate di armi tra le più disparate (la mia preferita era quella che generava la “forza antimateria” in grado di rendere intangibile chi la indossava!).

Ken il guerriero (seconda serie). Anche in questo caso, non credo di dover spiegare chi sia o quale sia l’importanza del personaggio di Kenshiro nel panorama dell’animazione Mondiale. Vorrei invece soffermarmi un momento sulle sigle che ne hanno fatto da colonna sonora nell’edizione italiana: mentre nella prima serie (quella che termina con la morte di Raul (Raoh) per intenderci) esso è accompagnato dall’egregio brano cantato da Spectre (e di cui presto riparleremo), la seconda serie (ambientata sull’isola dei demoni e che vede finalmente narrate le vere origini del nostro eroe) viene introdotta e chiusa dalle sigle originali cantate dal gruppo Tomcat. La cosa sorprendente è che entrambe le sigle sono cantate dalla stessa voce femminile: vi sfido a rendervene conto ascoltando i due brani! Vi lascio a Tough Boy e a Idon’t like love (cause I love you).

Dragonball. Non potevo chiudere questo articolo senza citare le due sigle originali di Dragonball (le prime che ho imparato in giapponese): per i fan della serie che hanno iniziato a seguirlo quando questo anime è approdato su Italia 1 le due sigle di seguito, Maka fushigi adventure e Romantic ageruyo potranno suonare molto differenti da quelle “italiane” passateci dalla Mediaset, ma sappiate che schiere e schiere di ragazzini, negli anni Ottanta, cercavano (spesso invano) di cantare il tema principale dell’anime, le cui prime frasi sono “Tsukamoze, Duragon Boru” pronunciando versi senza senso. Vi lascio quindi a questi ultimi due brani e vi do appuntamento al prossimo articolo sulle sigle in cui parleremo di… “Illustri Cantanti”! (E non vi dico altro).

Commenti (6)

  1. Non so perch�, ma la sigla iniziale di Hurricane Polimar mi fa venire in mente quando Usopp canta la canzone di Sogeking (forse � la stessa voce? o_O)

    1. Non so perch�, ma la canzone di Sogeking mi fece subito venire in mente quella di Polimar (Kyashan e Tekkaman)… 😛
      Questione di punti di vista (e di et�) ma credo proprio che sia One Piece ad aver “copiato” e non viceversa… 😉 pi� che stessa voce io direi: stesso stile! Un chiaro omaggio ai grandi eroi del passato!

      Aaaahhh… che bello il mio caro, vecchio, genuino, Dragon Ball!!! Bei tempi quelli! 🙂

  2. Bella selezione complimenti! Le sigle di tatsunoko sono bellissime! Le canto tutte 🙂
    La seconda di kenshiro e’ uan delle canzoni rock piu’ belle Dragonball…. wow, a 1:04 minuti e’ il massimo se ascoltata mentre si guarda il video! E poi mask!!!! Wow mask era davvero una colla per attaccarsi alle nostre tv a tubo catodico seleco, nordmende e telefunken!
    Ma per cantanti illustri spero non intendiate cristina davena ma piuttosto qualche personaggio cos� a caso che ha cantato tipo dragonball z o saint seiya o magari i dhamm (wow voglio la versione karaoke)!!! Anche la sigla di beyblade vforce era bella potente tra le piu’ nuove!

  3. Un’altro articolo fantastico e interessante,complimenti,e quante belle sigle,alcune le sto scoprendo da poco(tipo quella di Maison Ikkoku che sto seguendo ultimamente,bella e perfetta per l’anime,cos� come le due ending che ho ascoltato finora),altre le conoscevo pur non avendo visto l’anime (Tough Boy di Ken il guerriero,ma quant’� bella questa canzone,se ho deciso di iniziare a seguire da poco Ken il guerriero � anche perch� voglio arrivare a vedere questa opening come apertura degli episodi,non solo come video su youtube…),mentre da “dragonballiano” covninto non potevo non conoscere Makafushigi Adventure e Romantic ageru yo,davvero fantastiche (vedere Bulma solo in camicia poi nel video della ending � sempre qualcosa di toccante);tolte queste,che ho comunque riascoltato con piacere,ti ringrazio per aver di nuovo condiviso con noi i tuoi ricordi e le tue conoscenze,attendo l’altro articolo a questo punto…

  4. grazie a dio da piccolo l’unico cartone che riuscivo a sopportare era batman… grazie a dio…

  5. le sigl,e come il cartone stesso di Kenshiro, hanno lasciato un segno indelebile nella mia infanzia! mi chiedo come avrei fatto senza!

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