Naruto, One Piece, Bleach: la genialità degli autori

Non molto tempo fa, all’epoca dei salti temporali che hanno “mandato avanti” le storie di One Piece e Bleach (fenomeno che aveva già colpito, anni prima, anche il manga Naruto) avevo scritto questo articolo che aveva suscitato (con mia somma gioia) profondo interesse e numerosi commenti. Mi ero ripromesso di scrivere assiduamente di questi argomenti ma, come avete potuto vedere voi stessi, i vari cambiamenti degli ultimi mesi mi hanno tenuto impegnato sul fronte “organizzativo” e lontano dalla cosa che invece preferisco fare: scrivere e discutere con voi dei “fatti” relativi al mondo del fumetto in generale.

Bene, a partire da oggi, con cadenza settimanale, intendo invece (finalmente) riprendere in mano questo progetto (anche perché se no i “responsabili” del blog mi spellano vivo!) iniziando a parlare di un argomento “leggero” e che, sicuramente, potrà aprire la strada a future discussioni. Permettetemi una domanda per iniziare: cosa si intende, nel senso comune, quando si dice che “una persona è geniale”? Il Dizionario della Lingua Italiana (sto usando il Devoto-Oli) non pare lasciare spazio a dubbi di sorta:

geniale agg. 1. Caratterizzato da una felice e inattesa inventiva: un artista g.; un libro g.; un’idea g. 2. lett. Conforme al proprio genio come indole o carattere: i geniali studi (Parini) – Gradevole, attraente: un aspetto g. 3. lett. Attinente al genio come nume tutelare del luogo, della persona, dell’istituzione: letto g., matrimoniale. [Dal lat. genialis, der. di genius ‘genio’].

Ovviamente nel nostro caso stiamo parlando della definizione 1. (a meno che voi non andiate in giro con Numi tutelari o Divinità, di solito!)… che pur tuttavia non è quella che viene comunemente usata nel senso comune. Certo, una persona geniale è dotata di inventiva, è in grado di stupire, di trovare soluzioni fuori dall’ordinario e che riescono a “travalicare” certi schemi concettuali che, al contrario, potremmo definire “monotoni”. Ma oltre a queste caratteristiche, il genio in realtà è anche chi, come affermava Einstein, si pone in una tale situazione di “difformità” rispetto alla massa che lo circonda da venire tacciato di “pazzia”: come il buon fisico tedesco (naturalizzato svizzero) amava affermare, infatti, “Pazzo è il termine con cui la gente comune suole riferirsi al genio!“.

Eccoci qui, dunque, a parlare della capacità inventiva, della forza creativa, delle idee (condivisibili o meno) che i tre autori più chiacchierati del momento riescono a infondere e di cui pervadono le loro opere. Prima di continuare, però, permettetemi di ricordarvi una cosa: quello che dico sono mie idee personali e non vogliono, in nessun modo, assurgere al ruolo di verità assoluta. Chiunque è libero di appoggiare o confutare queste idee; alla fin fine, nessuno di noi può “leggere” la mente di questi tre autori quindi qualsiasi “commento” per quanto intelligente sia, rimane una mera ipotesi.

 E veniamo dunque al primo dei tre: Masashi Kishimoto. Credo di averlo già ribadito in altre sedi (commenti ai vecchi capitoli di Naruto e probabilmente nello stesso articolo citato prima) ma mi sembra giusto ripetere quello che io trovo un punto fermo nel lavoro di questo mangaka: niente è fatto a caso. Ci sono momenti nella storia in cui tornano alcuni personaggi, in cui vengono dette e fatte cose, in cui, semplicemente, uno dei ninja viene disegnato con una certa espressione sul viso, che fanno comprendere come, alla base, Kishimoto abbia intessuto una solida trama, che va ben oltre l’idea di fondo o la certezza che, di tanto in tanto, debba accadere questo o quest’altro evento. Sono convinto che Naruto andrebbe letto, con spirito critico e attenzione, solo nel momento in cui fosse “completo”, partendo dal volume uno e arrivando, senza mai fermarsi (pausa pipì, pupù e ganm-gnam sono concesse) fino al numero XXX (l’ultimo della serie, non il dojinshi di storie hentai, pervertiti!), per avere finalmente e definitivamente un quadro chiaro e completo degli eventi, della forza dei personaggi, delle differenti chiavi di lettura presenti nella storia e, perché no, per comprendere finalmente perché in un manga dal titolo “Naruto”, il protagonista resta, spesso e volentieri, fuori dalla narrazione di alcuni eventi fondamentali (ma di questo parleremo in un altro articolo, promesso!).

 Kishimoto è il tipico caso di autore che, a mio parere, non comincia neanche a pensare ad un disegno, se prima non ha ben chiaro non solo un canovaccio di plot, ma proprio una sceneggiatura semi-dettagliata, all’interno della quale tutti i punti fondamentali sono spiegati e rimangono abbozzate solo le eventuali sfumature e situazioni al contorno: in questo senso è geniale come un architetto che, prima di erigere un edificio, deve studiare per bene la pianta, la struttura portante, la scelta dei materiali e la disposizione degli ambienti, ma che in seconda fase, potrà liberamente scegliere tinte ed oggetti diversi per le camere, magari decidendo di dare un tocco in stile differente ad ogni singola parte del palazzo tirato su, senza preoccuparsi se alcune cose possano dare più o meno nell’occhio perché, alla fine, è il tutto nel suo complesso che lo farà ricordare come un genio o un mentecatto. Molta gente critica alcuni “passaggi”, più o meno forzati, presenti in quest’opera: io penso che alcuni di questi, rivisti alla luce di eventi successivi, possono avere un senso differente, che prima non si era colto, e che potrebbe suggerire ulteriori sviluppi che forse sono stati solamente accennati e che prenderanno piede in un secondo momento: per questo consiglio ai lettori di questo manga di “cercare di guardare oltre la singola tavola“, e provare a dare all’opera di Kishimoto uno sguardo più ampio: forse troverete spunti di riflessione anche più intriganti di quelli che avete considerato sino ad ora.

 Quando invece si sposta l’attenzione su Eichiiro Oda, non si possono usare altre parole se non: “Pazzo geniale“! Oda è il classico esempio di artista in grado di tirare fuori un coniglio dal cilindro anche se prima ci aveva messo le colombe; è il tipo che, partendo da una singola parola potrebbe riuscire a comporre 12 canoni ascendenti e 12 discendenti, ciascuno speculare all’altro (e se siete curiosi, il tizio in questione è J.S.Bach e l’opera è “L’offerta Musicale“); è il disegnatore che, sebbene non eccellente nel disegno, riesce a trovare inquadrature e studi anatomici che caricano i suoi personaggi di una qualche vita propria, che permette loro di “uscire” quasi dalle pagine. Oda non è un progettista come Kishimoto: di certo ci sono tante cose chiare nella sua idea della storia di One Piece, sicuramente tanti degli attuali misteri da lui disseminati in giro nel manga sono più che una semplice idea, ma precisi “disegni”, strutturati e fortemente correlati l’uno all’altro. Ma a differenza dell’autore di Naruto, che non scriverebbe una sola parola a caso, se non sotto costrizione, Oda è in grado di improvvisare, di aggiungere e togliere con naturalezza, di modificare le storie in corso e di trovare colpi di scena molto più imprevedibili, proprio perché possono essere dettati dal “guizzo” del momento, più che da una attenta pianificazione.

 Credo che il modo più “immediato” per rendersi conto di questo fatto sia la presenza di un numero incalcolabile di personaggi che, in 600 e più capitoli, il buon mangaka è riuscito ad inventarsi. Prendete come esempio gli eventi di Marineford: di certo Oda sapeva che sarebbero accadute certe cose, così come di sicuro aveva in mente di far intervenire più di un nuovo personaggio nella battaglia. Ma a mio pare, molti degli individui che ci ha fatto vedere (tra pirati e membri della marina di cui conoscevamo il nome, ma non il volto), sono stati una trovata del momento, una creazione fatta in fase di realizzazione, che dimostrano la bravura di questo autore nel “destreggiarsi” anche in situazioni molto ingarbugliate. Oda, in soldini, pianifica solo ciò che è necessario: il resto viene da sé, man mano che va avanti, mantenendo comunque sempre e in ogni caso, fede a qui capisaldi che sono necessari affinche la storia di One Piece, così come l’ha pensata in origine, debba proseguire. Tuttavia ogni volta che prendo in mano la serie e rileggo alcuni passaggi, sorge spontanea una domanda: ma Oda sa per certo quale sia il finale del suo manga?

 E veniamo infine all’ultimo membro del terzetto (che ormai per molti dovrebbe divenire un duetto, relegando quest’ultimo autore nel dimenticatoio). Tite Kubo, rispetto agli altri due è certamente meno geniale (ma sicuramente molto più bravo nel disegno e nel gestire la tensione degli scontri). Tuttavia il nostro autore ha un pregio che, sebbene posseduto anche dagli altri due, nelle sue mani diventa qualcosa di molto più intrigante: la capacità di usare schemi usuali, situazioni classiche o addirittura idea già sfruttate, per rielaborarle e renderle particolari in maniera unica. L’esempio concreto è quello delle Zampakuto (e lo so che qui molti di voi storceranno il naso), ma prima di criticare abbiate l’accortezza di leggere quello che penso. Per chi, come me (un po’ per la passione, ma anche per l’età avanzata!) ha potuto leggere più di un manga (e vi assicuro, io gli shonen del WSJ, pubblicati dalla fine degli anni Settanta ad oggi gli ho letti quasi tutti!), salta all’occhio la chiara ispirazione che ha portato Kubo alla creazione delle spade degli Shinigami e della loro “triplice” forma: gli stand de “Le Bizzarre avventure di Jojo“. Quando Hiroiko Araki, nell’ormai lontano 1988, fece entrare in scena, nella sua immensa epopea famigliare che vedeva protagonisti i membri della famiglia Joestar, i poteri Stand (sorta di manifestazioni “psico/fisiche” del potere insito all’interno di chi manipolava le onde concentriche) i lettori gridarono “al miracolo”: la genialità di Araki aveva portato nel mondo degli shonen una ventata di aria nuova, distaccandosi dalle allora usuali tematiche delle “arti marziali” che rendevano invincibile il protagonista (Dragonball e Hokuto no Ken docent!) e rendendo gli scontri, se possibile, ancora più cruenti, ma in maniera nuova. I contendenti non combattevano direttamente, ma subivano la pressione sui propri stand, così da riportare spesso ingenti ferite: inoltre, la variegata schiera di poteri che Araki aveva inventato permettevano scontri che, spesso, si combattevano più su un piano mentale e “tattico” che su quello della semplice “rissa”!

 Nel manga sugli dei della morte, a mio parere, Kubo è riuscito a fare qualcosa di simile: l’uso delle Zampakuto e della loro forma una e trina (perdonate la blasfemia!) permette all’autore di immaginare scontri che, al di là della semplice “scazzottata in allegria”, vengono giocati su piani differenti e, a volte, può accadere che tra i due contendenti, al di là della forza, quello più debole possa avere, in realtà, l’arma migliore, determinata dal suo potere. Ecco che, come negli ultimi eventi dello scontro a Karakura, spesso i più forti possono anche ritrovarsi messi alla strette dal particolare potere di questa o quella spada, che conduce ad un risultato non prevedibile (ovviamente, rispetto al concetto relativo degli scontri per cui, alla fin fine, il buono dovrà sempre vincere!). Quello che apprezzo di Kubo, è la capacità di lavorare su questi pochi spunti ed essere in grado di rielaborarli, in modo spesso eccezionale (ovviamente a volte fa cazzate… ma nessuno è perfetto!). Quello di cui sono convinto, inoltre, relativamente alla “strutturazione” a monte della storia, è che Kubo, meno degli altri due, abbia un progetto “preciso”: sono certo che l’unica cosa ben chiara nella sua testa sia la figura dei personaggi “buoni” (la squadra di Ichigo, la sua famiglia, i suoi amici); molto più nebulosa, basata solo su alcuni (pochi) punti fondamentali, da non contraddire mai, la sua concezione degli altri Shinigami e, ancor meno, la sua idea di chi siano effettivamente i “malvagi”: sono quasi convinto che, un giorno, scopriremo che nessuno dei “cattivi” che Kubo ha fatto apparire fino ad ora era davvero tale, mentre il vero “male” della storia si cela dentro alcuni dei personaggi che conosciamo meglio!

A questo punto direi che sarebbe proprio il caso di fermarsi: volevo introdurre questa serie di articoli in maniera immediata e diretta, ma alla fine mi sono reso conto che anche solo il parlare di un argomento “semplice” come uello di quanto siano “bravi” questi tre autori diventa un discorso lungo e complesso. Lungi dal voler essere esaustivo (e come potrei mai? Ribadisco: io non sono nessuno dei tre!), ma certo che le parole che ho scritto qui non passeranno inosservate, vi invito ad aprire un educato dibattito sulla questione, e vi do appuntamento alla prossima settimana.