Shonen manga, una prospettiva storica (1994)

di Regola 7

 

Terza generazione, infine. Probabilmente alcuni avranno pensato che, nella mia personale ricostruzione avrei posto un altro autore, e un’altra opera a ruolo di spartiacque, invece, per svariati motivi che spiegherò nel corso di questa parte, sono dell’idea che un nuovo modo di concepire i manga abbia avuto origine nello studio di Nobuhiro Watsuki durante la produzione di Rurouni Kenshin. Ma prima di analizzare questo (bellissimo) manga vorrei affrontare qualche noiosa tematica riguardante la terza generazione, e la diffusione dei manga a livello globale. In quanto oggi tutti dicono “manga” e non “fumetti giapponesi“. (Due termini che considero sinonimi e intercambiabili, ma preferisco il primo per il risparmio energetico.)

 L’affermazione della terza generazione è accompagnata da un cambiamento del pubblico, che non si differenzia solo per l’anno di nascita rispetto alla precedente, avvenuta mediamente in un altro decennio, ma anche per le modalità di consumo e un rapporto col prodotto che non nascondo, come lettore della seconda generazione, di trovare a volte aberrante. La terza generazione di autori e opere è stata costretta a venire a patti con la diffusione clandestina dei suoi prodotti tramite Internet, un fenomeno dovuto sia allo sviluppo e diffusione delle tecnologie informatiche, sia a una crescente fame di manga nel pubblico Occidentale che lo hanno portato a desiderare tali prodotti in tempi e modi che le varie case editrici non riuscivano a sostenere, per motivi pratici ed economici. Nascono quindi i primi siti di diffusione scan, come Omanga che ha dominato la scena per i primi anni del 2000, fino alla creazione di gruppi sempre più specializzati e tempestivi nella pubblicazione: progetti che rappresentavano la prosecuzione dell’eredità lasciata dai primi lavori di traduzione amatoriale, che a partire dagli anni ’70 hanno cominciato a nascere di tanto in tanto in ambito accademico e non, curati da persone che studiavano o volevano insegnare il giapponese (come il progetto Mangajin). In Giappone, nel frattempo, il successo degli shonen manga è tale che i titoli degni di nota cominciano a comparire più frequentemente: laddove si potrebbe infatti pensare che ci sia stato un aumento esponenziale della produzione, ricordo che le case editrici e le riviste principali sono sempre le stesse. Ad essere esponenzialmente aumentate sono le tecniche, la cura da parte dei mangaka e l’attenzione più ampia da parte del pubblico; si è riscontrato, comunque, anche a un aumento delle persone che scelgono questa attività per mantenersi… ed è così che si è arrivati alla saturazione nei tempi moderni, in cui ad essere aumentati sono soprattutto gli autori che non riescono a pubblicare (o pubblicano su riviste minori, con tirature bassissime; oppure producono doujinshi).

Credo di essere venuto in contatto con delle scan molto tardi, forse era il 2006 (mentre il mio primo anime con fansub risale al 2000), non ricordo neppure che manga fosse. Ricordo tuttavia le più varie riflessioni, nei primi anni di questo secolo, con persone che lamentavano difficoltà nel trovare gruppi che adattassero certi titoli che non venivano pubblicati in Italia (Hamelin era uno di questi) ma questo perchè il fenomeno era ancora agli inizi. In pochi anni la quantità di manga leggibili clandestinamente in rete è cresciuta a dismisura, tant’è che a volte vedo tradotti titoli che gli stessi editori giapponesi devono essersi pentiti di aver pubblicato. In pochi anni l’Occidente passa da una lettura a cadenza mensile di prodotti sostanziosi (volumi contenenti mediamente dieci capitoli) a una settimanale di prodotti non proprio gratificanti: alla base di questo cambiamento di abitudini vi è soprattutto il fatto che, in quegli anni, l’Occidente si accostò ai ritmi editoriali nipponici, ritrovandosi un pubblico abituato a un volume mensile che poco tollerava quanto stavano diventando rarefatte certe uscite. Molti sono passati quindi alla lettura settimanale, ma senza nessuna “preparazione” a questo ritmo: i giapponesi vanno avanti da sempre con pubblicazioni settimanali, sono in qualche modo abituati alla “costante lentezza” nella progressione dei loro titoli preferiti, gli Occidentali no. Ed è così che mi è capitato negli anni di assistere a scene in cui persone si scagliavano e insultavano un autore che si prendeva una pausa, che criticavano il lavoro di altri senza domandarsi se una lettura clandestina concedesse diritto di critica. Io stesso sono ancora combattuto e titubante sulla questione. E poi, mi è toccato stare a sentire persone che, nonostante leggessero costantemente in rete svariati titoli, considerano sciocco e puerile comprare volumi in fumetteria. Per fortuna non tutti sono così, ma sono tante le persone che non sono disposte a rinunciare a una birra (o un pacchetto di sigarette) al mese e dare il proprio contributo a un mondo che pare appassionarli.

Di scanlation, diritti d’autore e diffusione all’estero ne parlerò ancora, diluendo tutta la questione con l’appoggio di svariati titoli.. ora procediamo con quello di oggi, Rurouni Kenshi (Kenshin Samurai Vagabondo), iniziato su Weekly Shonen Jump nel 1994:

Kenshin è il manga che ci porta nella terza generazione, come dicevo, i motivi sono semplici e probabilmente alcuni di voi già ne saranno a conoscenza: Eiichiro Oda e Hiroyuki Takei sono stati entrambi assistenti di Watsuki (a sua volta allievo di Takeshi Obata). In quegli anni, durante le lavorazioni a Kenshin si stava “costruendo” parte del metalinguaggio shonen moderno, con l’incontro di quelli che sono stati tre fra gli autori più apprezzati degli ultimi venti anni. Il fatto che questi tre poi, per svariate ragioni, abbiano finito per produrre manga completamente differenti e gestiti in modo molto personale è senz’altro prova del loro estro: non sappiamo quanto si siano influenzati fra di loro, certo è che sono proprio queste coincidenze a rendere le analisi storiche interessanti. Ma non è solo questo, perchè un manga per essere epocale non deve solo riscuotere successo, deve anche essere ricco di elementi, riferimenti, dettagli, messaggi… deve essere, in parole povere, una bomba. E Watsuki nel suo primo vero successo comprime tanti di questi elementi da presentare al pubblico un manga quasi unico nel suo genere, ricco e appassionante, eppure quieto, sensibile, poetico e drammatico. Re-inventando le storie di samurai nello stile degli shonen non poteva non inserire svariati riferimenti storici, scegliendo per giunta uno dei periodi più critici della storia giapponese, l’epoca Meiji, segnato dalla ricerca del popolo nipponico di una propria identità tra tradizioni e modernizzazioni forzate volute dall’Occidente (se vogliamo, il malinconico concetto di “senbonzakura”); Watsuki finisce inevitabilmente per mettere in scena i drammi umani come nessuno aveva mai fatto prima di allora. Un manga, il suo, in cui si piange in modo maturo, in modo “triste… diversamente da Hokuto no Ken, in cui le lacrime pesano di orgoglio, o da Ushio e Tora, in cui la vicenda è commovente ma adolescenziale.

Nobuhiro Watsuki ha fatto una scelta che gli è costata cara: decide di produrre uno shonen manga privo di elementi sovrannaturali. Niente energie, niente complessi sistemi che giustificano raggi lanciati dagli occhi, ma passione per l’azione in tutte le sue forme in un manga che a differenza di tanti non vuol raccontare la storia di una crescita, bensì di un epilogo. In alcuni casi si notano distintamente le difficoltà di Watsuki nella creazione di personaggi: non potendosi permettere mistiche spiegazioni preferisce portare all’estremo le possibilità fisiche umane, dal punto di vista prettamente anatomico. È così che nascono alcuni dei “mostri” che popolano l’organico di personaggi, figure fantasiose e impossibili in un mondo realistico, ma che riflettono in qualche modo lo stile esagerato di tante narrazioni storiche. Un po’ come nella parabola di Davide e Golia, in cui sebbene riconosciamo l’impossibilità dell’esistenza di un gigante, accettiamo passivamente le spropositate dimensioni dell’antagonista… allo stesso modo, quindi, accettiamo la presenza di un gigante tra le Dieci Spade. Figure inserite, comunque, sempre grazie al desiderio e alla voglia di citare dell’autore, noto appassionato di videogiochi, action figures e X-Men (in questo senso, i Free Talk dell’edizione italiana del fumetto sono veramente interessanti).

Un manga senza elementi sovrannaturali vuol dire anche un rapporto diverso con la morte, ed è lì che Watsuki si dimostra un autore dotato della sensibilità necessaria per affrontare anche questa tematica, ma (come sappiamo dai Free Talk) alcune scelte in fatto di sceneggiatura sono state veicolate dalle castranti regole che vigono in Jump. Stando alle parole dell’autore, la protagonista Kaoru sarebbe dovuta morire (non farò spoiler, tranquilli), ed è qualcosa che redattori, lettori e classifiche non avrebbero mai tollerato, ma che avrebbero potuto portare a una narrazione sublime, a un messaggio valido, maturo, condannato invece a esistere nella sua integrità solo nella mente dell’autore.

(..) per questa serie di svolte avevamo considerato sia i pro e i contro. Da parte dei lettori ci sono state diverse reazioni, infuriate, di incoraggiamento, invettive ecc… io me le aspettavo ma allo stesso tempo ero molto preoccupato. (..) Se avessi voluto dare più importanza al tema stesso del “jinchu” avrei dovuto far uccidere Kaoru. Così il tema sarebbe stato più chiaro e la storia sarebbe risultata meno complicata. Insomma, come opera sarebbe stata quasi perfetta. Come vi ho già detto dopo l’episodio di Kyoto, alla base del manga per ragazzi ci sono le risate e il lieto fine (..) perciò alla fine ho preferito questa soluzione. (Nobuhiro Watsuki, free talk sul volume 24)

Il tono, il tempo narrativo e tanti piccoli dettagli sono quelli delle storie di samurai, segnate dalla tristezza e dalla tragedia, in un mondo che sta osservando terminare l’epoca della spada senza riuscire ad opporsi… per lasciare spazio a quella disonorevole e vigliacca della polvere da sparo. Watsuki riempie il suo manga di armi, le mette in mano anche ai suoi personaggi principali, ma in qualche modo non si dimentica che esse sono soprattutto strumenti per l’omicidio: ciò che cambia è lo spirito con cui le persone combattono, la ragione che li porta a marchiare sè stessi con l’odore del sangue, a commettere crimini che “anche se perdonati, non potranno essere dimenticati“. Eppure il protagonista, Kenshin, impugna una spada a lama invertita proprio perchè non vuole uccidere: il messaggio dell’autore è pregno di significato. Non siamo di fronte al solito ragazzino idealista che non vuole uccidere perchè ritiene sia sbagliato, siamo di fronte a un uomo adulto che ha scelto di sacrificare sè stesso per salvare quante più vite possibile e riparare per quelle che ha spezzato. Kenshin è un uomo il cui peso sulle spalle è immenso, ed è per questa sua auto-imposta penitenza che gira il Giappone portando un sorriso in ogni luogo dove si ferma… ciononostante, nelle sue tavole, Watsuki riesce a rendere crudelmente tangibile tutta la tristezza del protagonista, proprio attraverso il suo malinconico sorriso.

 Uccidere è sbagliato, anche quando non è possibile fare altrimenti, vuole dirci Watsuki. Nella loro furia edulcorante i redattori delle riviste shonen hanno perso di vista questo importantissimo messaggio, iper-proteggendo i beniamini di milioni di giovani, portando gli autori a evitare le morti o escogitare qualche resurrezione, che fanno sempre bene agli indici di gradimento. Pur tuttavia a volte compaiono manga come questi, che quasi convalidano la mia personale tesi che tante volte, di fronte a un forzato appiattimento dei contenuti, ci sia di mezzo la mancanza di volontà degli autori di trattare certe tematiche, o la totale incapacità in altri casi. Forse è per questo che oggi Watsuki pubblica su Jump Square (attualmente lavora su Embalming), rivista shonen mensile dalla catena più lunga.

(..) e così finalmente sono arrivato alla fine dell’episodio. Se qualcuno mi chiedesse se ritengo di averlo finito bene o no, non riuscirei a offrirgli una risposta chiara (..) a metà strada, dopo aver inserito l’episodio di Kyoto, si è risvegliato in me l’interesse di disegnare un vero shonen manga e così ho smascherato la mia parte ambigua. Per un autore di fumetti, il massimo piacere è quello di disegnare i propri interessi, ma questo interesse si è svegliato nel bel mezzo di un’opera, e non sono riuscito ad adattare l’opera a questo cambiamento di percorso (..) avevo in progetto degli episodi che avevano come sfondo l’Hokkaido e anche una seconda parte, ma invece di continuare così ho preferito dedicarmi a qualcosa di nuovo lavorando in modo migliore (..) così seguendo il consiglio della redazione ho deciso di terminarlo. (Nobuhiro Watsuki, free talk sul volume 28)

Data la natura particolare di questo manga anche i combattimenti assumono un tono diverso da quelli degli shonen più classici, poichè Watsuki deve concentrarsi soprattutto sulla descrizione e costruzione della scena, attraverso le azioni e le frasi dei vari personaggi. E in questo riesce perfettamente, attraverso un continuo botta e risposta che i contendenti realizzano, presentando combattimenti coinvolgenti dall’inizio, fino al raggiungimento di un vero e proprio momento climatico: l’attimo fatale in cui un singolo colpo risulta decisivo, perchè più ricco di emozioni, sentimenti e motivazioni, in sintesi un’estensione del proprio essere. In Kenshin, come in tutti gli shonen manga, è sempre e comunque lo scontro delle svariate forze di volontà in campo a decretare il vincitore, ma a differenza di quanto poteva accadere nei più ottimisti anni ’80, quando i cattivi erano impossibili da redimere (o venivano redenti una volta sconfitti), gli antagonisti di Watsuki sono spesso dotati di una loro storia che ne determina le motivazioni e le loro azioni, che entrano in conflitto con le intenzioni del protagonista. E questi conflitti sono spesso irrisolvibili, un po’ come accadde nella vita reale, in cui una risposta più corretta di altre a certi quesiti semplicemente non esiste.

Con gli anni ’80 definitivamente tramontati, sebbene infestati dallo spettro di Dragon Ball, per questi e per tanti altri motivi Watsuki ci trasporta in un nuovo modo di approcciarsi al manga. Una volta chiaro il messaggio tipico dello shonen gli autori di questa generazione si sono dovuti confrontare con se stessi e con il lettore, sforzandosi di trovare nuove soluzioni con un continuo rinnovamento del proprio lavoro, per attirare un pubblico non più soddisfatto della semplicità e della linearità dei manga prodotti fino a quel momento. Nel 1999 Kenshin termina, in tempi e modi che considero ottimali, con 28 volumi che possono sembrare pochi rispetto ad alcune pubblicazioni moderne ma che rappresentano un perfetto compromesso tra quello che era il messaggio dell’autore e certi imprevisti editoriali. Dopotutto Watsuki ha costruito un manga con un numero di personaggi stabili particolarmente esiguo, cosa che tuttavia gli ha permesso di presentarli e sfruttarli nel migliore dei modi. Un finale, quello di Kenshin, che arriva ironicamente nell’esatto momento in cui tutti i personaggi hanno completato il loro percorso, ed espresso integralmente tutto il loro messaggio. Un manga sempre giovane: in esso si respira il forte odore di un altro secolo, eppure in qualche modo si dimostra essere ancora attuale, ancora valido, come uno di quei titoli che dovrebbe necessariamente far parte della memoria di un appassionato di manga (che si definisca tale). Un titolo che consiglio, e continuerò a consigliare, perchè in tutti questi anni veramente in pochi si son detti insoddisfatti.

 Sulla questione della lunghezza dei manga sollevata anche quest’oggi parleremo più ampiamente in un altro appuntamento, per oggi vi saluto e vi ringrazio per l’attenzione. La prossima volta (come sempre datemi qualche giorno di tempo) vedrà protagonisti svariati manga che faranno, diciamo da “transizione“, pubblicati tra il 1994 e il 1996. Titoli, comunque, che molti di voi conoscono o hanno sicuramente sentito nominare.

 

Commenti (7)

  1. Che dire, sono daccordo con te.Io ho tutti i 28 volumi di Kenshin, inizialmente lo comprai per curiosit�, avevo finito o stavo terminando Dragon ball deluxe e Saint Seiya, e incuriosito dalle pubblicit� mi sono convinto ad acquistare almeno il primo numero.
    Da allora li ho presi tutti, veramente una narrazione ben fatta con disegni chiari e dettagliati.Ho sempre apprezzato quest’opera, in passato ero per� convinto fosse un prodotto di nicchia o conosciuto da pochi, non avevo ancora internet, o almeno non l’Adsl (altri tempi).
    Invece mi pare che di recente abbia visto una classifica dei manga pi� venduti (o qualcosa di simile) e Kenshin figuri in una posizione relativamente alta.
    Una piccola curiosit� su Oda che era suo assistente, in un episodio una bomba viene disegnata con impresso sopra il marchio dei Mugiwara, all’inizio non capivo il perch�, poi ho scoperto il motivo. 😆
    Consigliatissimo anche da parte mia.

    1. Come manga ha indubbiamente un certo seguito, ogni tanto si sente qualche voce di corridoio che preannunci una sua ristampa ma fin’ora niente di ufficiale… chiss�, magari la Star lo ristamper� quando avr� terminato quella di Yu Yu Hakusho, che inizier� quest’anno.

      Credo sia il manga, tra quelli che possiedo personalmente, che ho prestato pi� spesso. Sapevo la cosa del jolly roger, oggi ero in dubbio se citarla o meno, poi l’articolo mi � venuto pi� lungo del previsto e ho deciso di rimandare a quando tratter� OP.

  2. Fantastico pezzo. Kenshin rientra tra le mie opere narrative preferite di sempre.
    (senza contare che gli oav sul passato di Kenshin sono un capolavoro a parte)
    Che ne pensi del reboot? Non ho ancora avuto modo di leggerlo, ma quel poco che ho visto mi ha fatto un po’ storcere il naso (o forse � un moralismo da vecchia fan)

    1. Se ti riferisci alla special edition (io l’ho comprata a Lucca) l’ho trovata essere un po’ una cosa “che lascia il tempo che trova”, prodotta per cavalcare il successo del live action (stanno lavorando al secondo). Senza infamia e senza lode, non volevo mancasse alla mia collezione, pi� che altro.

  3. Credo che la riflessione circa la terza generazione e sopratutto sul modo di usufruire dei manga sia ampiamente condivisibile. Internet ha cambiato molto questo mondo nel bene e nel male (e non solo quello), credo per� che il boom del fenomeno manga, sia anche dovuto ad internet ed alla rapida diffusione delle scan clandestine, senza le quali in molti non si sarebbero appassionati a questo mondo.

  4. Per quanto concerne i pro e i contro di Internet: la rete ha certamente aiutato la diffusione dei manga in tutto il mondo, ma al tempo stesso, (come ormai � per ogni tipo di intrattenimento su video o carta), ha promosso la clandestinit� di prodotti che danneggiano i vari prodotti. E’ un problema che possiamo riscontrare in tantissimi altri settori, quello della rete che fornisce ma non garantisce. E’ un bel grattacapo.

    Per quanto riguarda Kenshin, (vero protagonista dell’articolo): una delle poche opere che ho avuto il piacere di leggere per intero, (un po’ fumetti miei, un po’ dei miei amici, un po’ di mio cugino, eccetera….). Appassionante fino all’ultimo, ma che lasciava sempre un po’ malinconici, dopo la lettura. Mi fa piacere pensare che pi� autori moderni si siano ispirati a quest’opera. (vedo che ancora una volta, purtroppo, la casa editrice si mise di traverso all’autore, per�)

  5. (Rispondo a ningen e TVRX T-T)

    La questione della diffusione internet � molto ampia, molto complessa perch� connessa anche a un problema pi� generale quale l’educazione all’uso di questo strumento. La diffusione in rete ha i suoi pregi e i suoi difetti, e per risolvere i secondi negli ultimi anni si sono cercate svariate soluzioni: per quanto riguarda i manga alcune sono molto note, come la chiusura di alcuni siti. Ma la questione dei diritti d’autore (che vengono spesso violati) � molto pi� complessa e attraverso altri titoli ci torner�. Al centro resteranno comunque i manga.

    Questo mio intervento vuole essere complementare, quindi, e introduttivo ad alcune tematiche riguardanti titoli moderni. Inoltre, non sono contrario alla diffusione di certi prodotti tramite internet (anzi, � grazie a questo strumento che ho deciso quali serie comprare negli ultimi anni), ma al consumo selvaggio che spesso avviene senza rispetto per il lavoro di tanti autori.

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