Shonen manga, una prospettiva storica (1984)

 

Chi la vuole scrivere questa parte? Io non sono tanto sicuro di riuscirci per bene… perchè quando si parla di Dragon Ball tutti quanti l’hanno visto, tutti lo conoscono, e possono citare a memoria, causa determinate politiche televisive, svariati frammenti delle avventure di Goku, ma fondamentalmente, tra tutte queste persone, quanti hanno davvero letto il manga di Dragon Ball? E per leggere non intendo aver sfogliato una volta (perchè è quello che si fa spesso con le storie che si conoscono già) ma aver riflettuto attentamente i suoi vari aspetti.. anche perchè sono sempre rimasto dell’idea che il manga di Dragon Ball sia un’esperienza mille volte più coinvolgente rispetto a quanto potrebbe essere la sua serie anime, poichè questa perde quella che è la chicca dello stile narrativo di Toriyama: un ritmo serrato di eventi che si susseguono; in Dragon Ball i personaggi tendo a focalizzarsi su un problema alla volta, evitando cautamente noiose deviazioni. Per questo ne approfitto e ne consiglio la lettura (non la visione, per l’appunto) nemmeno troppo impegnativa, tutto Dragon Ball infatti è composto da 42 volumi (l’edizione Deluxe, la migliore per quanto riguarda l’adattamento): anche perchè, a trent’anni dalla sua uscita questo manga influenza ancora gli autori moderni, come guida e fonte di ispirazione, e nessuno degli autori moderni, soprattutto quelli della Shueisha, riesce a scrollarsi di dosso quest’influenza che comincia ad avere quel sapore di vecchio…

Permettetemi un simpatico paragone, se il genere shonen action fosse la matematica, Dragon Ball sarebbe l’algebra: è un’opera che sia nella sua genesi, sia nella sua struttura tende ad essere recuperata e citata ancora oggi, un manga che è fondamentale tenere presente in questa mia serie di approfondimenti perchè in qualche modo dal 1984 in poi è possibile leggere qualcosa di Dragon Ball in ogni shonen manga. Ma se vi dicessi che, stando a quanto affermato da Toriyama nel 1995, questo suo manga doveva durare circa un anno? L’idea iniziale infatti era limitata alla prima ricerca della sette sfere del drago (condannando la Shueisha a non dimenticare più questa cifra.. sette le sfere del drago, sette le stelle sul petto, sette i mari, sette i chakra..), come omaggio al noto Saiyuki, ma il successo fu tale che Toriyama venne convinto a proseguire il suo lavoro, e da quel momento in poi si succederanno svariati archi narrativi che mai si mischieranno troppo, in cui l’autore inserirà un po’ di tutto dandogli comunque una struttura omogenea. Dopo la ricerca delle sfere del drago introdurrà il filone delle arti marziali, col primo torneo Tenkaichi, per poi dedicarsi a uno dei nemici più noti di Goku, l’organizzazione del Red Ribbon. Ancora arti marziali, con il secondo torneo Tenkaichi e l’introduzione del personaggio di Tenshinhan (che Toriyama annovera tra i suoi preferiti, insieme a Crilin e Trunks del futuro), in cui la violenza diventa un po’ più matura, meno giocosa perchè prossimo l’arrivo del Grande Mago Piccolo in cui il manga raggiunge la sua piena maturità… e ci condanna al problema delle resurrezioni, o della non morte, nello shonen manga. Finalmente poi, dopo un salto di qualche anno in avanti, Goku riesce a vincere il Tenkaichi battendo Piccolo, e la saga viene infine trasportata nella sua fase adulta, in cui i personaggi divenuti i migliori sulla Terra cominciano a guardare allo spazio… arrivano i Sayan, i Namecciani, arriva Freezer e la storia raggiunge proporzioni cosmiche nel momento in cui Goku arriva a compiere il suo destino. E tutti abbiamo pensato almeno una volta che sarebbe potuta finire lì, che sarebbe stato davvero meraviglioso se il finale fosse stato quello. Perchè questa è veramente una bella storia.

In questo volume Goku muore (nota, si riferisce alla morte al Cell Game). Penso che sia meglio non essere troppo affezionati ai personaggi che si disegnano, ma è anche abbastanza triste disegnare la morte di un protagonista che mi ha fatto compagnia per quasi dieci anni. Ho cercato di pensare ad altri modi, ma farlo morire è stata indubbiamente la scelta migliore. Ho cercato di non essere mai troppo cupo nel corso degli anni, nonostante ciò ti prego, Son Goku, perdonami! (Akira Toriyama, 1993 introduzione al volume 35)

Poi cominciano i problemi, e la linearità costruita da Toriyama comincia ad incrinarsi, a spezzarsi perchè il pubblico ne vuole ancora: ritornano i cyborg del Red Ribbon, arriva Cell e Toriyama costruisce capitolo dopo capitolo una delle saghe che avrebbe potuto trasportare Dragon Ball in una nuova dimensione col passaggio di testimone alla generazione successiva. Sempre in un’intervista del 1995 Toriyama affermava che i personaggi di questa saga siano nati mano a mano che venivano inseriti, spronato dalle lamentale del suo redattore: “non mi dirai che quel vecchio e quel grassone sono i cattivi“, oppure “loro due? Ma sono due ragazzini!” E quindi Toriyama si inventa questo Cell, che si rivela funzionale al punto giusto, anche nella sua funzione di essere non tanto il nemico di Goku, quanto quello di Gohan. Ma purtroppo il pubblico non apprezzerà il primogenito del protagonista come Toriyama sperava, e il Sayan cresciuto sulla Terra tornerà nell’ultima saga per combattere Majin Bu. Lo spazio lasciato alla resurrezione, l’idea di sfruttare le sfere del drago e tale strumento narrativo negli anni passati rivela la sua reale natura e pugnala Toriyama alla spalle rendendogli impossibile liberarsi dei suoi personaggi rinnovando la storia. Quello della saga di Majin Bu è un Toriyama stanco, con poche ma geniali frecce al suo arco, che sente un fatale bisogno di tornare a fare in qualche modo fumetto umoristico, le sue gloriose origini che gli paiono lontane dopo anni di battaglie. Nel 1995 Dragon Ball finisce sebbene la Shueisha, che lo piange ancora, lo starebbe ancora pubblicando se l’autore avesse voluto. Toriyama ne ha abbastanza, mette un finale frettoloso, saluta tutti e chiude la serie: un violento trauma colpirà i lettori giapponesi, che dopo undici anni di avventure non sapranno più cosa leggere. Anche perchè, Toriyama, come molti degli autori che hanno gestito una serie lunga nella Shueisha, sembrava restio a ripetersi.

Vorrei ringraziarvi per aver letto Dragon Ball con piacere… sono veramente felice che mi abbiate sostenuto fino alla fine! Avevo già da un po’ di tempo l’idea di concluderlo, ma per varie cause non ho potuto annunciarlo fino all’ultimo capitolo. Mi dispiaceva davvero, ma ho voluto chiedere quasi per forza di concludere questo manga a tutti coloro che hanno lavorato per me, per poter fare un nuovo passo.. chiedo scusa col cuore a tutti, anche ai lettori… ora farò una breve vacanza, ma quando rientrerò creerò con calma qualche storia autoconclusiva, ci vedremo senz’altro di nuovo… spero che le mie nuove opere vi divertiranno! Allora, arriverderci alla prossima! (Maggio 1995, Akira Toriyama su Weekly Shonen Jump)

Ma che tipo di persona è Akira Toriyama? Il padre dello shonen moderno è stato definito da Masakazu Katsura (i due sono amici dai tempi in cui Toriyama pubblicava Dr. Slump&Arale, in quanto avevano lo stesso redattore) come una persona umile che non accetta consigli da nessuno. A parte il fatto che tutti i giapponesi vengono definiti come umili, queste poche parole mi sono sempre rimaste impresse, e l’idea che mi sono fatto di Toriyama non è poi tanto positiva: aggiungendo il fatto che non è disponibilissimo all’incontro con pubblico e giornalisti, e che afferma di aver smesso di seguire con passione manga e anime all’età di 11 anni (guarda caso la durata di Dragon Ball) preferendo la cinematografia e il motociclismo, quest’idea diventa sempre meno positiva. Il padre dello shonen moderno mi pare una persona poco simpatica, ma rappresenta perfettamente l’archetipo del mangaka professionista non alimentato dalla sua passione, e quindi in perfetta salute.

Il “Principe del rosico”, da prima che fosse mainstream.

In Dragon Ball, comunque, sono presenti tutte le caratteristiche dello shonen tranne una: partendo del presupposto che molti autori moderni sono cresciuti con quest’opera è ovvio che abbiano maturato un loro linguaggio, una loro idea e modo di procedere che può essere analizzata contrapponendola allo stile di Toriyama. Ma da sempre, coloro che si sono voluti allontanare dal suo stile, e dai svariati paragoni, sono proprio quelli che hanno deciso di puntare su quella caratteristica che Toriyama ha deciso di ignorare, ovvero, la crescita e la maturazione psicologica dei loro protagonisti. Attenzione, i personaggi di Dragon Ball cambiano col passare dei capitoli, alcuni maturano (Tenshihan, per esempio), ma Goku rimane tale e quale a se stesso dall’inizio alla fine, non vacilla mai, non ha mai un dubbio e saprà sempre fare la cosa giusta al momento giusto: vedere Goku salvare il genere umano è sempre un piacere. Ma Goku rappresenta anche, paradossalmente, l’ideale di “buon papà” nella società giapponese: in Giappone, fino a qualche anno fa (ancora oggi, anche se attualmente le cose stanno cambiando) sposarsi non era la conseguenza di passione e forte innamoramento, ma la matura scelta di costruire una famiglia insieme a una persona con cui si sta semplicemente bene. Toriyama stesso, come molti mangaka, non avrà avuto una vita sentimentale eclatante, si è sposato con quella che probabilmente fu il suo placido primo amore (fonte incerta), a sua volta una fumettista (Nachi Mikami), con cui ha messo su una famiglia di cui difende strenuamente la privacy. Il modo di essere genitori di Goku e Chichi, semplice ed onesto, ha tutta l’aria di essere un riflesso di quella che è la sua personale esperienza. Fa riflettere il fatto che nella maggior parte dei shonen moderni le famiglie vivono delle condizioni drammatiche (ne parleremo, oh si, se ne parleremo).

Eppure sono un bel quadretto.

Per il resto c’è tutto, ecchi, elementi umoristici, trasformazioni, comparsa di nemici sempre più forti e l’introduzione di quella dinamica shonen nella quale il nemico di oggi è l’alleato di domani. Ma c’è di più, a Toriyama dobbiamo l’uso moderno dell’allenamento nello shonen, ripreso probabilmente da qualche manga sportivo: una scelta al dir poco geniale, poichè comunica al lettore la semplice idea che i personaggi stanno facendo qualcosa anche quando non combattono, e in questo caso, si stanno allenando. Non solo, quest’introduzione permette all’autore di inserire, e giustificare nuove soluzioni per variare e rendere sempre diversi e interessanti i suoi combattimenti, uno stratagemma che aiuta l’autore anche a prendersi pause e riordinare le idee. La presenza di archi narrativi di allenamento oggi è diventata una caratteristica di spicco di alcuni autori. D’altronde Toriyama stesso era spesso afflitto dalla mancanza di ispirazione, la vera piaga di questo mestiere, ed è ovvio che abbia cercato delle soluzioni di ordine pratico; sempre Katsura afferma che negli anni ’80/’90, lui e Toriyama spesso avevano delle lunghe telefonate in cui discutevano del più e del meno, e di tanto in tanto anche di lavoro. Katsura stesso racconta che ai tempi della saga di Majin Bu Toriyama non stava riuscendo a trovare nuovi poteri o tecniche da far usare ai suoi personaggi, e questi gli suggerì di guardare qualche episodio di una serie super-eroistica. Il risultato fu la tecnica della Fusion, in cui i parallelismi con le danze e pose dei vari super-eroi del filone Super Sendai sono innegabili, ma che per la sua stretta peculiarità è il dettaglio meno citato da parte degli autori moderni; Katsura, comunque, riconosce che la paternità della Fusion è tutta di Toriyama.

All’epoca (nota, si riferisce ai primi volumi) era più divertente creare una storia che disegnare tavole, ma sostanzialmente, mi occupo della storia un capitolo alla volta. Ed è per questo che ho finito per impantanarmi. All’epoca del viaggio nel tempo di Trunks, la situazione era diventata orribile. Disegnavo, disegnavo, disegnavo, e il tutto non faceva che diventare più incoerente. (Akira Toriyama, 1995 Daizenshuu 2)

Amo questo manga in proporzione a quanto lo odio, vorrei tanto fuggire dal 1984 e da Dragon Ball e passare ad altro (hai voluto la bici, ora pedala), perchè qualunque cosa mi viene in mente di scrivere mi appare tremendamente inadeguata. Eppure mi rendo conto che non è colpa di questo manga, neppure del suo autore che ha indubbiamente fatto il suo lavoro, è probabilmente colpa mia per l’incapacità di sentirmi emotivamente trascinato come mi capita spesso quando parlo di altri titoli vintage. Proprio non ci riesco, probabilmente perchè Dragon Ball non ci ha mai lasciati, sia come presenza televisiva sia come fonte ispiratrice degli autori moderni (ve lo ripeterò fino alla nausea): è forse tempo che si faccia un passo avanti, si continui sul percorso dell’evoluzione del metalinguaggio shonen che è stato gambizzato quasi sul nascere dalla creazione di una tradizione, o un modo condiviso di fare fumetto. Ma sono ottimista, perchè quel tempo sta probabilmente per arrivare, e penso che fra dieci anni un’analisi del genere, sebbene condotta con prospettive diverse, porrà centrali altri titoli e si finirà per parlare di Dragon Ball e Toriyama un po’ come ho fatto nell’introduzione con i pionieri della prima generazione, sottolineando sempre e comunque il suo primato: è stato il primo manga veramente mainstream dell’epoca moderna.

Ed è su quest’immagine che vorrei chiudere oggi, sul mainstream, sul successo presso le folle, sulle frasi forti dei personaggi sulla bocca di tutti, bimbi e cosplayer, giovani che comprano astucci, zaini, stickers, sulle masse di persone che vogliono Dragon Ball, non importa come e quando, sono interessate solo a consumarne il fenomeno, a comprare la nuova edizione in Blu-ray Disc, non importa se ha trent’anni. Ecco, queste masse, composte da me, da voi, da tutti in qualche modo, siamo stati raffigurati anche in Dragon Ball, e abbiamo un ruolo molto importante, siamo il genere umano. Siamo quella massa ridicola, egoista, superficiale ed essenziale che Toriyama ha parodiato e scimmiottato soprattutto nelle parti finali del suo manga quando era visibilmente stanco. Forse esagero, forse leggo troppo nel lavoro di quest’autore, forse voleva solo scherzare, ma non riesco a non pensare che Toriyama ci odiasse, in pari misura a quanto ci amasse per il successo che ancora gli stiamo garantendo.

Per oggi abbiamo finito, il prossimo appuntamento (non chiedetemi quando, ma dubito entro questo fine settimana) sarà all’insegna di un altro manga che tutti conosciamo, legato più al numero dodici che sette: nel 1985 cominciava anche Saint Seiya.