Eccoci al secondo appuntamento con questa rubrica che, se gradirete e continuerete a commentare, probabilmente terrà banco su Komixjam per un bel po’ di tempo (o almeno fino a che non mi verrà in mente qualcosa di più interessante!). Per prima cosa, voglio fare una precisazione: lo scorso articolo era, volutamente, molto lungo. Un po’ per presentare la rubrica, un po’ perché l’idea di vedere subito, in parallelo tra loro i tre autori, mi stuzzicava molto. Da questo secondo appuntamento, tuttavia, per evitare di risultare prolisso oltremisura (e credetemi, se volessi potrei scrivere un articolo di 10000 parole tanto per darvi sui nervi!) quando l’argomento tenderà a “prolungarsi” oltre una soglia accettabile (facciamo 700/800 parole?) inevitabilmente passerò ad una suddivisione in due, o più, parti.
Detto questo, veniamo a discutere dei protagonisti dei tre manga più amati/odiati/amati-odiati della storia del disegno su carta giapponese. In realtà, vi avviso sin d’ora che questo articolo è solo la punta di un iceberg (o se volete, un’introduzione) di quelli che saranno i prossimi 3 articoli (eh già, se non lo avevate capito io programmo tutto!) e che tratteranno dei “gruppi” associati ad ogni singolo protagonista.
Ma veniamo ora ai nostri tre imputati: Naruto, Rufy (o Luffy, o Ruffy, o Rubber…. no, ok, questo magari no!) ed Ichigo. Inizierò, questa volta, proprio parlando di quest’ultimo. Per quanto possa apparire sufficientemente stereotipato (di protagonisti fighi ne è pieno il mondo), Ichigo Kurosaki ha anche una caratteristica molto particolare in sé: mi riferisco al fatto che, se fosse un personaggio di uno di quei manga in cui i “5” combattenti (di solito 4 più una signora) affrontano senza macchia e senza paura il male, il nostro pel di carota non sarebbe il capo, il numero 1, ma bensì coinciderebbe molto di più con la caratterizzazione del secondo, il numero 2, quello sempre un po’ schivo, dall’aria misteriosa e magari un po’ tetra, pieno di ammirazione e allo stesso tempo in eterno conflitto con il caposquadra. Ichigo è un eroe (o tenta di esserlo), su questo non ci piove: ciononostante sembra sempre in corsa, in gara con “qualcuno” (non ben specificato) da dover superare per ottenere la forza, la capacità, la qualità di comandare e proteggere che in una visione un po’ da “spaghetti western”, molto più che da “manga scazzottate e poteri”, lo rende più simile ad un Clint Eastwood della “Trilogia del Dollaro“, che ad un Son-Goku che acquisisce il potere di Ultra-mega-super-extra-Sayan! Un personaggio fuori moda, un po’ decadente, troppo desideroso di fare qualcosa per gli altri per potersi rendere conto che, alla fin fine (come qualcuno gli fa notare nell’ultima parte della saga di Karakura), tutte le sue azioni sono votate al puro raggiungimento di una forza che risiede, silenziosa e vigile, dentro il suo spirito.
Il giovane Ninja di Kishimoto, invece, segue uno stereotipo un po’ particolare (almeno a mio giudizio): certo migliaia di personaggi di manga vari devono convivere con “qualcosa” dentro di sé. Tuttavia, più che un classico “reietto della società che poi diventa un eroe-ommamaquantoèfigo!!!”, Naruto mi ha sempre ricordato un altro personaggio: Oliver Twist. Cosa? Chi è Oliver Twist? Non avete mai letto Dickens? Ahi-ahi-ahi… non sapete che enorme rottura di c@#$£]@i vi siete evitati! Scherzi a parte Oliver Twist è il prototipo, come affermava Massimo Lopez in un vecchio spettacolo del Trio, di “tutta la letteratura sfigata di fine Ottocento”: cresciuto fino a 9 anni in orfanotrofio, Oliver fugge dalla sua (triste) dimora per ritrovarsi catapultato nella Londra di fine Ottocento, ancora più triste e pericolosa. Costretto a lavorare in un’impresa di pompe funebri, alla fine il ragazzo finisce con un gruppo di ladri che vivono nelle fogne. Non vi svelo altro del romanzo, ma vorrei sottolineare quale sia il paragone con Naruto: anche qui, come nel manga di Kishimoto, il protagonista vive una vita al margine poiché contrapposto ad una realtà e a della gente rispetto alle quali risulta estraneo. Chiunque si muova minimamente a compassione verso di lui, finisce con l’allontanarlo a causa del suo status, e solo in pochi credono veramente nella “bontà” e nella forza del giovane, che porterà ad un finale “positivo” ma che, più che riguardare il solo protagonista, andrà ad influenzare in modo definitivo le vite di tutti i personaggi (alleati e nemici) con cui il nostro è venuto a contatto. Ecco quindi Naruto, protagonista involontario, spesso al centro dell’attenzione, molto più spesso lontano anni luce anche solo dalla consapevolezza di ciò che gli accade intorno: forse perché destinato ad essere il degno successore di Jiraiya, forse perché, anche se accettato da tutti, sente su di sé il peso del pesante fardello che porta in “grembo”, o forse solo perché ormai abituato a vivere una vita da mezzo “solitario”, è lo stesso Naruto che tende a rifuggire in certi casi le luci della ribalta, in maniera forse inconscia, dal momento che per indole dovrebbe risultare uno dei protagonisti più egocentrici della storia del manga giapponese.
E veniamo all’ultimo dei tre: non a caso ho lasciato Rufy per ultimo. Il motivo è semplice: io ODIO Rufy. E lo AMO. Stupiti? Bè, credo che le motivazioni per le quali provo due sentimenti tanto in contrasto vi lasceranno ancor più stupiti. Iniziamo dalla prima. ODIO Rufy perché, per certi versi, ricorda la pessima caratterizzazione dei personaggi de “I Promessi Sposi” del Manzoni: non ha vie di mezzo, non è un miscuglio di grigi ma risulta solo “bianco” e nessuno, neanche il più puro tra i personaggi può essere così. Se ci fate caso, Rufy, anche quando è incavolato nero, risulta “buono”: la sua ira non si basa sul non sopportare, odiare o voler vedere abbattuto il nemico, ma solo sull’idea che questi abbia fatto qualcosa di sbagliato ai suoi occhi. Rufy non combatte per sé, ma per gli altri, sempre e comunque: a differenza di Ichigo, tuttavia, la sua non è ricerca di nuova forza (anche se, dopo gli episodi di Marineford, qualcosa è cambiato anche in lui) quanto più il tentativo di “migliorarsi” in ragione del suo sogno di divenire il Re dei Pirati. E da qui scaturisce il mio AMORE per questo personaggio: il suo desiderio, la sua passione, l’ottimismo (molto più forte anche di quello di Naruto… magari solo perché è più stupido anche del ninja in tenuta arancione!) con cui affronta tutte le avversità, il “sangue agli occhi” con cui attacca per proteggere e proseguire per la sua strada lo rendono unico e inimitabile. Come dite? Siete confusi? Non avete capito quale sia la mia idea di questo personaggio? Bé, vi confesserò una cosa: neanche io! Il fatto è che Rufy è, contemporaneamente, talmente stereotipato e fuori dagli schemi da risultarmi di difficile classificazione: sarà la genialità di Oda, sarà che il mondo in cui vive che è alquanto bislacco, ma il ragazzo di gomma risulta, a mio parere, un personaggio in continua evoluzione, che tuttavia ritorna su se stesso e modifica i suoi tratti, come l’Uroboro, il serpente che mangia la sua stessa coda, che rappresenta un qualcosa di evolvente ma senza principio né fine, segno del principio di trasformazione a cui tutto l’Universo è sottoposto.
Ok, anche per stavolta ho finito. Ok, mi sono dilungato (il WordPress segna 1193… no, 1195.. anzi 1197 parole… uff 1200!!) ma credo sia stato meglio terminare qui questo discorso piuttosto che spezzettarlo. Bene gente, ci sentiamo alla prossima e mi raccomando, dite la vostra!