Era un po’ che stavo qui davanti allo schermo pensando a come iniziare questo pezzo. In fondo si tratta di un artista che apprezzo particolarmente e ritornare a sentir parlare di Satoshi Kon a qualche mese dalla sua scomparsa mi riempie ancora il cuore di tristezza. Forse non ne avrei nemmeno il diritto dal momento che l’ho scoperto relativamente da poco e probabilmente solo grazie alla sua scomparsa, ma i mondi che vivono nelle sue opere sono talmente spettacolari e coinvolgenti che non si può non amare il suo lavoro e l’uomo stesso per quello che è stato capace di creare.
Credo che a questo punto per visto che si tratta di ripartire sia più opportuno iniziare con la fine e quindi dalle sue stesse parole, quelle con cui l’avevamo lasciato in estate o meglio quelle che lui ci aveva regalato, perchè, anche sopraffatto dalla malattia e dal dolore, era riuscito comunque a dare al mondo il suo addio con una stupenda lettera e in particolar modo voglio riportarvi le parole che concludevano il suo triste saluto:

Se negli ultimi articoli eravate voi a suggerirmi di cosa parlare, stavolta son andato oltre, ho fatto fare direttamente l’articolo a uno di voi. Primo martire ad essere sottoposto ai lavori forzati è stato Tsukuyomi, per cui vediamo un pò cosa ha da dirci.
“La verità è che, quand’anche una ed una sola anima non si trovasse a contemplare i ciliegi in fiore, tutto ciò che rimane di selvaggio è la nostra follia”. Con questa evocativa ma al contempo tremenda frase ha inizio il romanzo di Sakaguchi Ando che dà il titolo a questo secondo ciclo narrativo, scritto in un 1947 dove il mito della tradizione, àncora di salvezza e punto di partenza di un popolo ed un Paese che attorno ad essa aveva costruito la sua fortuna ed il suo tallone d’Achille, era morto soffocato sotto il peso degli incendi di Tokyo e nella profonda fossa dove giaceva seppellita l’onta della prima sconfitta militare giapponese nella sua millenaria storia. Fermamente convinto che i miti del passato non avrebbero potuto aiutare il Paese nella ricostruzione, Sakaguchi và a disintegrare senza vergogna l’ultimo mito del passato, il fiore di ciliegio per secoli cantato da menestrelli e poeti come metafora della vita dei samurai, breve ma intensa come l’intervallo che separa la maturazione del roseo petalo alla sua inesorabile caduta a terra dove sarà calpestato e maltrattato da uomini e animali:
Probabilmente vi starete domandando chi è questo strano soggetto che così, di punto in bianco, arriva e scrive nel vostro blog senza dire né ai né bai. Se non avete già letto l’esauriente ed approfondita (ehm… più o meno) presentazione nella pagina del “