Clannad – Recensione Komixjam

 

Ultimamente ho scritto di tante cose, ma era da diverso tempo che sentivo la necessità di tornare su prodotti validi, serie di indubbio successo, che fossero vecchie di qualche anno, e lo spunto mi venne ai tempi della guida ai shonen romantici, qualche settimana fa… un anime che ho citato più di una volta nel corso della trattazione, che finalmente riesco a presentarvi per bene. Clannad, per la precisione è composto da due serie animate di ventidue episodi ciascuna, e un totale di quattro OAV, realizzate dalla Kyoto Animation tra il 2007 e il 2009, tratto da una delle visual novel di maggior successo della Key (sottogenere galge, per maggiori informazioni c’è la guida). Per quanto mi riguarda il lungometraggio della Toei non esiste.

Anche una parola può cambiare una storia intera.

Perchè presentarvi Clannad? I motivi sono svariati, il primo è sicuramente perchè la serie ha spodestato Maison Ikkoku, che era al primo posto nella mia classifica degli anime/manga a sfondo romantico, secondo perchè si tratta di un prodotto, come avrò modo di spiegarvi, realizzato con l’elevata cura che contraddistingue i prodotti della KyoAni… ma soprattutto, è un ottimo anime per farsi un’idea delle storie tipicamente utilizzate per le visual novel. Questi e tanti altri piccoli particolari ritengo rendano Clannad un prodotto di prima qualità, che non soffre neppure di alcuni problemi di altri anime di stampo harem vista la “realistica” struttura narrativa adottata.

Protagonista della storia è Tomoya Okazaki, studente del terzo anno delle superiori considerato dai più un delinquente e un poco di buono, etichetta non troppo lontana dalla realtà; questi non ha alcuna speranza per il proprio futuro e si limita a lasciarsi vivere. Non ha mai conosciuto sua madre ed è stato cresciuto dal padre il quale non avendo resistito alla troppa pressione e responsabilità finì per diventare alcolista e spendere quasi più di quanto guadagnava nel gioco d’azzardo. I rapporti padre e figlio, incrinati, si ruppero definitivamente quando in seguito a un litigio Tomoya si ruppe la spalla destra, dovendo rinunciare al suo unico sogno, quello di diventare un giocatore di basket. La storia ha inizio con un evento pressochè insignificante: sulla strada per andare a scuola Tomoya incontra una strana ragazza che indossa la divisa della sua stessa scuola; questa all’improvviso parla da sola, e Tomoya istintivamente, le rivolge la parola. Se non avesse compiuto questo piccolo e insignificante gesto, la sua vita non sarebbe mai cambiata, non avrebbe conosciuto tante persone e sarebbe rimasto un delinquente per tutta la vita. Nagisa Furukawa, la strana ragazza, è indubbiamente la protagonista di questa storia. Anche lei frequenta il terzo anno del liceo, ma essendo cagionevole di salute ha collezionato troppe assenze, dovendo ripetere un anno ed è quindi rimasta sola in una scuola dove non conosce nessuno; nasconde il sogno di recitare, ma con le sue forze teme di non poter arrivare da nessuna parte. Prima per caso, poi cercandosi, Tomoya e Nagisa cominceranno a conoscersi l’un l’altra, e compariranno altri personaggi ad arricchire questo piccolo, ma variegato gruppo: le gemelle Kyou e Ryou Fujibayashi, la silenziosa e solitaria Kotomi Ichinose, Tomoyo Sakagami futura Presidentessa del Comitato Studentesco e l’unico amico maschio del protagonista, il buffo Youhei Sunohara. Vi sono altri personaggi, come la piccola ed effimera casinista Ibuki Fuko e la calma e disponibile bibliotecaria Yukine Miyazawa… ma limitiamoci a tener presenti quelli principali, che appaiono più spesso.

La prima serie di Clannad è una buona sintesi di quelle che sono tutte le route dei vari personaggi conquistabili, ma intessute sul filone di quella che è la trama principale, ovvero la storia tra Tomoya e Nagisa. Quindi, fondamentalmente una trama molto lineare con qualche deviazione, che aggiunge varietà e presenta in maniera approfondita i vari personaggi. La storia quindi si sviluppa sulle orme di un classico shonen harem a tono prettamente romantico, commovente e umoristico: il punto di forza dei vari personaggi è proprio la personalità e come queste si combinano e contrastano tra di loro. Clannad è talmente incentrato sulle personalità che i personaggi non sono nemmeno troppo diversificati dalla caratterizzazione grafica: se non fosse per capelli e occhi sarebbe impossibile riconoscere i vari personaggi femminili, ma dopo la visione della serie è molto semplice dedurre le reazioni dei vari personaggi a situazioni immaginarie. Ma come dicevo Clannad è un ottimo esempio di un harem, allo stesso tempo qualcosa che non rimane prigioniero dell’eterno tira e molla che intrappola tanti anime di questo genere, perchè presto o tardi, i conti verranno fatti quadrare, con una scena che considero anche la più significativa di tutta la prima serie (episodio 18, chi ha visto la serie può capire a quale mi riferisco).

Fuko, strano personaggio, non è tra i principali ma lascia il segno.

I tempi narrativi di Clannad sono spaventosamenti ben calibrati. Episodio dopo episodio si vive una strana sensazione di immutabilità, come se il tempo non passasse mai, eppure sempre episodio dopo episodio le settimane trascorrono e diventano mesi. Un pò come nella vita di tutti i giorni, in cui fondamentalmente ogni giorno quasi assomiglia al precedente, ma dopo svariati mesi possiamo tirare somme, e renderci conto che col passare del tempo le cose accadono: sono solamente ben nascoste da una sensazione di quotidianità imperante. Il tutto è spezzato da strane e misteriose scene di un altro mondo e di altri personaggi, quasi eteree: un’altra storia, di una bambina e del suo robottino, che sembra procedere per binari esclusivamente propri, e che non verrà spiegata fino alla fine (della seconda serie). Come dicevo il tempo narrativo di Clannad è pressochè divino, raramente ho visto serie in cui i vari ritmi e sviluppi fossero stati strutturati in questo modo, posso citare un esempio: sono necessari davvero molti episodi prima che Nagisa chiami il protagonista per nome, eppure, quando accade sembra la cosa più naturale del mondo, quasi fosse sempre stato in questo modo.

Il tema principale della serie, tuttavia, non è l’amore o la scuola, come molti possono pensare, bensì è la famiglia. Il titolo, Clannad, vuol dire “famiglia” in irlandese. Ma l’idea di famiglia presentata nella serie, anche attraverso le vicende personali e famigliari di alcuni personaggi, è leggermente diversa dal senso comune del termine: nel corso degli episodi è come se si stesse cercando di insegnare qualcosa di importante al protagonista (e quindi, allo spettatore) sulla natura di una cosa che consideriamo tanto comune e tanto importante. “Famiglia” come gruppo di persone unite da legami sanguigni e affetto in comune, ma “famiglia” anche nel senso di persone con cui si vive, con cui si creano connessioni che vanno oltre quelle legate al semplice cognome, connessioni che creano un’identità che si manifesta anche fuori dalla propria abitazione, nel proprio quartiere, nella propria città. “Famiglia” come tutte quelle persone con cui si condividerà un pezzo, anche piccolissimo, della propria vita, dei propri momenti belli e brutti. Tomoya deve imparare che camminare da soli non vuol dire essere indipendenti, ma in grado di contare sugli altri ancor prima di essere una persona su cui, gli altri, possano contare. Ed è così che la prima serie passa, con un protagonista che ha fatto tanta strada, che deve farne ancora, ma che sembra aver preso la direzione giusta… poi le famiglie vere ci sono comunque, ci sono anche personaggi che fanno da “genitori” e sono una guida per il protagonista che ne è rimasto senza. I genitori di Nagisa, i coniugi Furukawa si meritano la palma di miglior coppia di genitori che abbia mai visto in un anime, presenti, pratici, umani e per certi versi anche molto verosimili: la loro vita è semplice e senza pretese, eppure, usando le parole di Nagisa, “ogni giorno è divertente con loro“.

Kyou Fujibayashi, una delle tsundere per eccellenza.

…poi inizia Clannad After Story, ventidue episodi. Se fosse esistita solo la prima serie quest’oggi la definirei semplicemente “bella“, ma non posso evitare, causa quello che questi altri ventidue episodi mi hanno fatto, e costretto a passare, di segnalare Clannad come l’anime che più mi ha fatto soffrire in tutta la mia vita. Ma è quel tipo di sofferenza positiva, fertile di significato, di riflessione. Quando guardiamo un anime, un telefilm o seguiamo una qualunque forma di intrattenimento con finalità narrative entriamo immediatamente in connessione con la storia e il messaggio che essa vuole trasmettere: persone diverse entrano in connessione con linguaggi e messaggi diversi, ma tutti quanti, con un variabile distacco e una non ben misurata empatia, vivono quelle storie che stanno guardando. Se non fosse possibile viverle, interiorizzarle, allora non le guarderemmo neppure… e dopo averle viste dobbiamo metabolizzarle, incosciamente il messaggio ci arriva (indipendentemente da come lo abbiamo percepito) e ci porta a delle conclusioni, sublimazioni, che sono la nostra sintesi e un qualcosa che mai ci abbandonerà. Non c’è persona più vuota di una che non abbia dentro di se qualche storia, vera o falsa che sia, letta, vista, vissuta, raccontata… le storie che possiamo raccontare ci rappresentano più di quanto possa farlo la nostra carta d’identità. Questo è Clannad After Story, non è qualcosa che voglio raccontarvi perchè dovrei spoilerare troppe cose, ma è qualcosa di cui posso descrivervi come mi ha fatto sentire. La seconda serie di Clannad ha riportato in vita il mio cinico e freddo cuore, mi ha incatenato a lei, usato, dettagliatamente presentato il messaggio che ero pronto a recepire senza opporre resistenza alcuna, e poi, mi ha lasciato lì a dover fare i conti con queste emozioni da solo, ferito. Quando finii Clannad sentii un netto rifiuto verso qualunque altra forma di narrazione: non guardai anime, film o lessi libri per una decina di giorni, perchè dentro di me tutto questo doveva metabolizzare, e diventare significato, poi parola. E il mio verdetto è che non ho mai visto una serie in vita mia che parlasse di vita in questo modo, e con così tanta vitalità da farmi sembrare in confronto vuoto, spento.

Ryou Fujibayashi, a dispetto di quello che si può pensare, scegliere lei invece di Kyou è considerato “Bad Ending”.

Come costruisci tutto questo, con una storia che non è neppure così tanto originale, con personaggi e avvenimenti spesso banali, comuni nella vita di tutti i giorni? Con cura dei dettagli, sotto ogni punto di vista non solo quello della realizzazione tecnica: le animazioni sono poche, ma quelle che presenti sono da manuale, così come i fondali, semplici eppure caldi, accoglienti, e le musiche che sono il contorno perfetto a tutto questo insieme. Soli così riesci a creare luoghi che rimandano a sensazioni dal sapore di “famiglia”, senza un lavoro maniacale e appassionato è impossibile raggiungere un risultato del genere. Non è mia intenzione di consigliare immediatamente la visione di Clannad a tutti voi, è un prodotto indubbiamente adatto ad appassionati del genere che sono in cerca di un’esperienza potenzialmente commovente e strappalacrime. Ma qualora ci si voglia immergere nella visione di questi quarantaquattro episodi credo sia sempre un bene avere un’idea di cosa si può incontrare: in questo caso avete la mia, forse troppo appassionata, troppo “sentita” ma spero non eccessivamente invasiva. Mi era impossibile alcun altro tipo di approccio a questo titolo.

Clannad è quella serie che, in retrospettiva, non ti da niente mentre la stai guardando, è necessario sapere aspettare il giusto tempo per ogni giusto sviluppo, ed essi non vengono regalati senza un pò di attenzione al tempo narrativo che gli sceneggiatori hanno scelto di usare. Credo che Clannad dia tanto una volta terminato, e che non ci sono più episodi da guardare… quando si prova quella complicata emozione composta da commozione per il finale e il desiderio di avere ancora storie di queste personaggi. Desiderio che non verrà (e non deve!) esaudito, e quindi tutti i fatti possono amalgamarsi, mischiarsi e tramutarsi, come dicevo, in significato, valori, e nel mio caso ellittiche parole. Quello della serie, sappiatelo, è il finale vero del gioco, ottenibile dopo aver accumulato tutti i punti necessari (sottoforma di stelle, accumulati con i “lieto fine” di determinati personaggi) e ripercorrendo poi la route di Nagisa. Gli OAV invece mostrano due dei tanti finali alternativi possibili (Tomoyo e Kyou) e alcuni avvenimenti non inseriti nella serie per questione di spazio, come le prime vacanze estive di Tomoya e Nagisa. Qualcosa che vale la pena di vedere ma che può essere tranquillamente tralasciato: avrei voluto aver qualcuno che mi desse questo consiglio a mio tempo, perchè dopo aver seguito la storia di Nagisa con così tanta attenzione mi è parso veramente strano vedere un’altra ragazza tra le braccia di Tomoya.

Non ho volutamente citato uno dei personaggi che è la star vera e propria dell’After Story per evitare indesiderati spoiler.

Qui si conclude il mio approfondimento. Con un rammarico, poichè probabilmente non vedremmo mai Clannad in Italia sebbene abbia già un certo seguito, e sia un prodotto adatto anche a un pubblico occidentale (di solito lo specifico, ma con i KyoAni non credo sia il caso… ma in Clannad è assolutamente assente ogni forma di fan-service), purtroppo la mole di episodi è tale che nessuno sembra volersi accollare il compito di adattarli, puntando su altri titoli comunque validi, ma più “moderni”. È un peccato perchè si tratta veramente un prodotto che in molti potrebbero apprezzare, anche persone che abitualmente non guardano anime potrebbero trovare interesse in questa storia e queste vicende, soprattutto per la parte After Story, per i suoi velati riferimenti a esperienze che in qualche modo tutti conosciamo, tutti abbiamo avuto nella nostra personale forma. E probabilmente Clannad fa così male perchè come spettatori finiamo per ricercare noi stessi in questa storia.

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