Oggi vorrei parlare di un aspetto di Naruto molto presente ma forse poco analizzato: la ricerca della pace. In Naruto non troviamo mai piani di conquista che siano fini a sè stessi o all’ideatore, quello che troviamo invece sono piani congeniati al fine di raggiungere uno scopo, molto spesso questo fine è la pace (soprattutto dopo il Salto Temporale c’è un ampiamento degli “orizzonti”). Per fare ciò vorrei prendere ad esempio tre modelli di pace, analizzarli e confrontarli in modo da avere uno scorcio ampio sulla visione critica di Kishimoto su questi modelli, ritengo infatti che volutamente l’autore non abbia ancora esplicitato un modello di pace esemplare definitivo ma solo uno abbozzato che sta maturando capitolo dopo capitolo.
Pace ad ogni costo: questo è chiaramente il modello di pace che viene perseguito da Danzo. Innanzitutto la sua personalità è tipicamente machiavellica: “il fine giustifica i mezzi” diceva il celeberrimo storico italiano, massima che calza davvero a pennello sul personaggio narutiano. Danzo agogna il potere, ma se superficialmente egli lo desidera anche per ambizione e riconoscimento di una vita dedita al sacrificio per il suo paese, inconsciamente egli cerca solo il bene di Konoha e farebbe di tutto per raggiungere la pace definitiva, lo farebbe per il suo paese. Questo modello di pace l’ho definito “ad ogni costo”, Danzo infatti organizza la transizione guerra-pace tramite un braccio armato le cui macchinazioni spingono chiaramente in favore del villaggio, ogni costo è spendibile per il raggiungimento di questo scopo: se vogliamo tra le tre versioni proposte questo è il disegno più parziale ed imperfetto. Gli errori che Kishimoto vuole evidenziare sono essenzialmente due: l’eccessivo nazionalismo ed il metodo senza scrupoli. Il primo è un chiaro sintomo di avversione per i paesi stranieri, cosa che chiaramente cozza con la globalità del termine “pace” e rende il disegno di Danzo, se fosse compiuto, una piccolissima fetta di un progetto decisamente più lungimirante; se vogliamo questo potrebbe essere un parallelismo con la stesso popolo giapponese, spesso riconosciuto come xenofobo e misantropo. Il secondo è invece di per sè erroneo, sacrificare una parte per il tutto (come decide di fare durante l’invasione di Pain) ed in genere pesare le delle vite umane in modo freddo e calcolato è un comportamento che renderebbe la conquista della pace illegittima e deformata.
Pace forzata: come Danzo anche Nagato ritiene che la pace non sia raggiungibile naturalmente. Il background di questo personaggio ci aiuta a capire quale sia il suo ideale di pace, una conquista ottenibile solo tramite dolore e sofferenze, solo tramite l’esperienza della guerra crede che sia possibile indurre la pace in modo quindi “forzato”. Come il piano di Ozymandias (Watchmen) anche quello di Nagato designa un nemico comune e ricorrente che dovrebbe ripresentarsi ogni qual volta la pace venisse nuovamente messa in discussione, un nemico in grado di distruggere interi villaggi e lasciare cicatrici profonde nell’animo dei paesi colpiti. Anche in questo caso però il premio che si otterrebbe risulterebbe enormemente distorto: una pace guadagnata grazie all’imposizione di sofferenza e morte è chiaramente deturpata da tali disgrazie ed in esse perde il valore che la pace stessa dovrebbe avere intrinsecamente. Grazie alla fede ed alle parole di Naruto (discorso che qualcuno non ha apprezzato poichè troppo risolutivo) il Terzo Eremita delle Sei Vie riesce però a redimersi ed a riesumare il vero valore di una pace conquistata con la compassione e con l’amore; soprattutto grazie ai ricordi che riaffiorano nella sua mente egli rivive le sue stesse disgrazie e torna finalmente a credere in sè stesso, il suo io perduto molti anni prima, egli non appoggia semplicemente la visione di Naruto ma vede nelle sue intenzioni ciò che lui stesso (e Yahiko) si prefisse di raggiungere molto tempo prima.
Pace illusoria: veniamo ora al disegno di Tobi e Madara, un mondo in cui la pace non è altro che un sogno in cui non è più possibile provare odio o rancore. Tra le tre versioni questo è forse il piano più romantico ed al contempo realistico, quello che scava più in profondità nella mente umana e con sguardo disincantato comprende che l’uomo non è “progettato” per la pace. “Homo homini lupus est” dice una massima latina, per Tobi e Madara (qualche evidente differenza tra i due) questa è la concreta sintesi del genere umano, l’uomo è incapace di amare il prossimo e di comprenderlo. Ritengo che ci sia comunque un’enorme differenza tra l’approccio di Madara e quello di Tobi: se il primo appare spinto dalla rabbia e dal rancore esprimendo un evidente disgusto per l’intera umanità, il secondo appare invece spinto da un’evidente rassegnazione, sentimento tipico di chi ha fallito nel raggiungere un obbiettivo (ed in questo penso sia abbastanza simile a Nagato) ed a fronte dell’ultimo capitolo sono ancora più convinto di ciò. Quale sia l’elemento che spinge Tobi ad agire in questo modo non mi è ancora chiaro ma credo che lo scopriremo presto: che sia un Izuna deluso e reincarnato in Obito o che sia lo stesso piccolo Uchiha ex-compagno di Kakashi deve ancora essere verificato. La pace derivante dal Piano Tsuki no Me (Occhio lunare) è ovviamente svalutata come le altre due: tramite le parole di Gaara Kishimoto ci esprime la sua avversione per una pace che preveda l’inibizione del libero arbitrio, è evidente che non avrebbe valore un traguardo raggiunto tramite un’illusione, sarebbe una pace fittizia ed inconsistente che non porterebbe alcun frutto.
La risposta di Naruto: veniamo infine ad un punto cruciale, qual’è la risposta di Naruto alla domanda di Pain? Ricordate la domanda che Nagato, tramite il Regno dei Deva, ha posto a Naruto? “Come faresti tu a ricercare la pace?“. Sembrerebbe una domanda semplice, ma una risposta non meditata non potrebbe che essere utopistica. Naruto però ha inconsciamente posto le basi per una risposta a questa domanda e per il conseguimento di una pace vera e matura; benchè non sia stata esplicitata una soluzione univoca essa è stata data con i fatti sin dai primissimi capitoli del manga (la grande similitudine tra la scena in cui Naruto spacca la maschera di Haku e l’ultima in cui rompe quella Tobi è più che un’autocitazione di Kishimoto), la parola chiave in questo caso è Esempio. Tramite il proprio esempio Naruto decide di mostrare al mondo che si può essere compassionevoli, che si può rispettare anche il nemico più malvagio immedesimandosi nelle sue sofferenze. In tal senso le sue convinzioni ricalcano quelle del Rikudo Sennin, il quale a sua volta potrebbe ricordare da vicino le azioni di Mohandas Gandhi, dedito alla non violenza ed all’esasperato bisogno di dare un esempio di forza e fermezza puri ed inamovibili. Alcuni frutti dell’inconsapevole progetto di Naruto sembrerebbero già essere nati: Gaara, plasmato proprio dal suo esempio (nello scontro durante l’invasione della Foglia da parte di Sabbia e Suono), è diventato Kazekage ed ha stretto un rapporto di amicizia saldo e duraturo con uno dei cinque grandi paesi, la pace tra Suna e Konoha è finalmente naturale e resistente come mai nessuna prima d’ora. L’esempio di Gaara (e quello contemporaneo di Naruto) ha a sua volta contagiato le forze armate dei ninja, garantendo un modello da seguire alle generazioni future. Da questo punto di vista l’auspicio di Chiyo in punto di morte acquista un valore completamente nuovo e potenziato, diventa quasi una premonizione della prima grande alleanza mai costituita dai cinque paesi, la piena realizzazione di una pace che le generazioni precedenti non avrebbero mai potuto immaginare e le parole dello Tsuchikage riguardo i cinque Kage uniti in battaglia sono in tal senso eloquenti.