Finalmente ci siamo. E’ da qualche giorno che rifletto attentamente sul cosa scrivere e sul come impostare un articolo così diverso e lontano dal mio abituale pattern di lavoro… ci rifletto così intensamente che sono quasi stato sul punto di abbandonare tutto e gettare ogni bozza nel cestino ma, come spesso mi accade, l’anima snob che alberga dentro di me ha preso il sopravvento sulla parte razionale e mi ha quasi imposto l’approccio a monitor e tastiera. Il compito è arduo e proprio adesso, mentre scrivo, nutro seri dubbi sulla capacità di poter costruire un articolo che sia in grado di rendere anche in minima parte omaggio a questo prodotto… piccola gemma preziosa che, và detto fin d’ora, a stento si riesce ad ascrivere alla categoria “anime” proprio come i 6 racconti che compongono l’architettura dell’intera opera difficilmente si possono considerare semplici romanzi bensì veri e propri capolavori letterari : opere senza tempo di una letteratura lontana e profondamente diversa da quella occidentale che però proprio negli Stati Uniti hanno recentemente scoperto una seconda giovinezza suscitando l’interesse di pubblico e critica. Perché parlarne? Semplicemente perché dare visibilità ad un progetto a stento arrivato alle luci della ribalta è il mio credo di blogger un po’ fuori dagli schemi che adora scavare alla ricerca dei tesori inabissati nel mare di sequel commercialmente sicuri e costruiti in laboratorio: titoli che si vendono da soli ma che non hanno niente di nuovo da raccontare. “Aoi Bungaku” è un prodotto diverso, “Aoi Bungaku” non è un titolo per tutti.
Vi starete domandando, se non avete chiuso la lettura al primo paragrafo, perché non ci sia il solito schema-guida dei miei articoli: come ho già detto, questa è una serie diversa e merita un trattamento speciale. Inizialmente volevo rimanere fedele al mio solito leitmotiv ma per mancanza di tempo le puntate si sono accumulate e non mi è stato possibile preparare una presentazione e commenti adeguati per ogni episodio: ironia della sorte, mai mancanza di tempo fu più produttiva poiché ho avuto la possibilità di capire che un’analisi completa delle 4 puntate in cui si snoda la storia del primo capolavoro di Dazai Osamu è il modo migliore per apprezzare e (nei limiti del possibile) capire la tormentata storia del giovane Youzou e dei fantasmi della sua mente. La trama non è articolata e certo non vuole essere il perno attorno al quale l’autore voleva focalizzare l’ettenzione dei propri lettori: Youzou Oda è un giovane studente di arte che vive un rapporto conflittuale con la quotidianità della vita frutto di indefiniti ma pesanti abusi subiti in giovanissima età dalle donne della sua famiglia con il tacito consenso del padre, una figura autoritaria e quasi mitizzata che non è certo una rarità nel panorama letterario dell’epoca. Tormentato dal male di vivere e dalle ansie di non sapersi integrare in una società che gli appare finta e crudele il giovane Youzou coltiva l’amicizia con un coetaneo, Horiki, che lo porterà sulla via dell’alcolismo e della perdizione sfruttandolo per intascare soldi dall’entourage del ricco padre che non esiterà a coprire le “devianze” del figlio pur di non compromettere la sua carriera politica. Il fascino che il giovane artista esercita sul gentil sesso è tanto magnetico che Youzou passa da un letto all’altro fino al fatale incontro con la sensuale Tsuneko (doppiata dalla divina Paku Romi), intrattenitrice ad un club per soli uomini con la quale stabilirà una breve ed infuocata relazione che culminerà in una gita a Kamakura durante la quale i due decidono di suicidarsi: il volo dalla scogliera sarà però fatale solo alla donna e Youzou tornerà alla disperata vita di prima con il fardello di essere diventato, agli occhi di tutti, un “assassino”. I mostri del suo subconscio non tarderanno a farsi avanti ed il continuo passare da una donna all’altra (tutte più grandi di lui) nel disperato tentativo di trovare una madre/compagna che possa essere la sua “Beatrice”, il ragazzo non troverà altra consolazione se non l’alcool ed il fumo finché il talento nel disegno dei manga (che gli portano un introito fisso e di buon livello) e la conoscenza con Yoshiki (Noto Mamiko in cabina di doppiaggio) gli regalerà qualche anno di pace e serenità durante i quali tutto fila per il verso giusto. Il tracollo definitivo avviene con il ritorno di Horiki che lo informa della morte del padre che, invece di dargli sollievo, lo rigetta nello sconforto per non essere diventato la persona che il genitore avrebbe voluto: di nuovo preda dei fantasmi della mente Youzou ri-tenta il suicidio e finisce i suoi giorni solo, in compagnia solo del suo mostruoso “io” che gli appare ora come l’unica vero amico in una società in cui lui ha fallito e si sente “non più umano” (ningen shikakku, appunto).
Il tratto di Obata Takeshi, il noto artista alle matite già nei celebri “Hikaru no Go” e “Death Note” ritorna qui in veste di apripista per quella che era, da molti, la miniserie più attesa nell’arco della “letteratura blu” che dà il nome all’anime. Lo stile pulito e realistico nel design di fondali e personaggi è inconfondibile e Youzou appare fin da subito come un novello Yagami Light in yukata e sandali: una somiglianza che capiamo subito essere solo estetica, la sicurezza di sé e la paura solo dei limiti del proprio genio sono tratti che il povero Youzou proprio non possiede e la debolezza figlia di queste mancanze è messa ancor più in risalto dal rapporto con Horiki, il finto amico che fino alla fine agisce solo per i propri interessi ma soprattutto quando le tante donne della sua vita si affidano a lui per trovare conforto nel poter accudire un giovane amante i cui veri sentimenti non emergono mai davvero, affogati nel mare della disperazione e del desiderio di porre fine alle proprie sofferenze… un tema che permea queste prime quattro puntate opprimendo lo spettatore e trasmettendo un senso di claustrofobia ed alienazione che raramente si è visto in un anime. Se “Ghost Hound” può forse essere richiamata come termine di paragone per questo aspetto emotivo, “Kurozuka” e “Mouryo no Hako” (guardacaso serie dove hanno lavorato Araki Tetsuro e Nakamura Ryosuke, qui in cabina di regia) sono le serie che per prime affiorano alla mente guardando (ed ascoltando) certe scene: il campanello che suona al vento per scacciare gli spiriti maligni che tanto spesso sentiamo nel capolavoro dell’inverno 2008 firmato Madhouse-CLAMP risuona con costanza anche qui a sottolineare la spiritualità di certi momenti mentre le atmosfere, le inquadrature e certe scelte di fotografia e recitazione ricordano chiaramente l’intimitità e forte sensualità che Kuromitsu e Kuro vivono dopo il loro incontro al cospetto dell’eternità nella visionaria produzione Madhouse dell’ottobre 2008. L’eternità non era certo ciò a cui Dazai né il suo alter ego Youzou ambivano eppure anche il fugace sogno di un’esistenza felice e realizzata rimarrà tale, sigillato nell’ombra di una paura che ne metterà a tacere ogni suono, tranne l’eco di una campanella lontana.
Download: Aoi Bungaku (1^ puntata) by Mangastory
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