Maus: Approfondimento KJ

di Manuel 6

 Maus (termine tedesco per indica il “topo“) non tratta di prese di coscienza, non criminalizza i nazisti ne martirizza il popolo ebraico e l’orribile persecuzione, la storia di Maus è di sopravvivenza e di amore, una coppia di innamorati ebrei che attraversa il lungo percorso della Seconda Guerra Mondiale passando davanti agli orrori dei campi di concentramento e la disumanità delle persone (molto spesso nemmeno nazisti bensì polacchi, qualche volta perfino ebrei stessi).

Raccontare Maus è un’esperienza piena di sorpresa perchè oltre il film “La Vita è Bella” di Roberto Benigni, nessuna opera aveva mai trattato l’olocausto come una storia quasi avventurosa, alcune volte con un sorriso, altre volte con una lacrima malinconica, in questo contesto si può veramente dire che simili progetti si contano sulle dita di UNA mano.

Maus di Art Spiegelman è uno di quei progetti, ambizioso perchè durato per l’autore quasi 6 anni di lavoro, fra alti e bassi e molti ripensamenti e molto personale perchè non racconta l’ipotetica storia di un sopravvissuto ebreo ai Lager Nazisti ma perchè racconta la storia VERA e CRUDA storia di Vladek Spiegelman: il padre dell’autore di Maus.

Spero, come in passato di dare un’idea esaustiva dell’opera in questione, perchè chi non è riuscito o non ha potuto leggerla…dovrà seriamente prendere in considerazione di colmare questa lacuna.

Maus è un fumetto e come tale segue un canone rigido: battute nei balloon, vignette fisse e una sequenza di eventi fissata ma non bisogna lasciarsi trarre in inganno, l’opera ambiziosa dell’autore va oltre il concetto stesso di fumetto.

Il volume unico (così come i volumi separati precedentemente venduti) si apriva con una frase di Adolf Hitler, una delle tante dette nella sua lucida follia

Gli ebrei sono indubbiamente una razza, ma non sono umani

Art ha voluto iniziare così per raccontare la storia di suo padre Vladek, fin dalla sua giovinezza, quando ancora lo spettro nazista non era alle porte, a metà degli anni ’30 quando il mondo sembrava ancora poter evitare quelle nefandezze perpetrate in silenzio. Vladek è di buona famiglia, è un bell’uomo ed è conteso da molte spasimanti tra cui una che non gli lascia fiato.

E’ la cugina di Vladek che dopo 3 anni di fidanzamento con la sua spasimante più accanita gli presenta Anja, una ragazza non bella ma di cui ci si può innamorare dopo pochi minuti di conversazione.

Dopo alcune piccole difficoltà (tra cui famiglia ed ex fidanzate) Vladek e Anja si mettono insieme, si sposano e nell’ottobre del ’37 nasce Richieu Spiegelman, il fratello maggiore dell’autore di Maus (che non conoscerà mai perchè non sopravviverà alla guerra) e lo spettro del nazismo inizia a pressare nella polonia di Vladek, inizialmente tutto sembra essere una routine di un esercito invasore, Vladek viene catturato durante il suo stanziamento nell’esercito polacco e non nota particolari crudeltà, quando ritorna tutto è cambiato, i suoi genitori così come quelli di Anja e la stessa Anja sono terrorizzati dai nuovi metodi dei nazisti, il cappio si stringe intorno alle comunità ebraiche, la popolazione viene incentivata a denunciare gli ebrei che non si registrano alle forze tedesche, l’illegalità è l’unica via per Vladek e la sua famiglia ma molti suoi amici si fermano lungo la via, alcuni moriranno davanti ai suoi occhi senza che lui possa fare nulla, altri verranno deportati in quelli che ancora nessuno conosce: i campi di concentramento.

Un esempio di tavola illustrata di Maus

Alla fine dopo tentativi malrisciuti e fughe disperate nel tentativo di evitare la deportazione, Vladek e Anja rimangono soli (Richieu che era stato portato lontano dalla sorella di Anja verrà avvelenato dalla zia stessa per evitargli l’orrore dei campi, ormai ben conosciuti) e sul treno che avrebbe dovuto salvarli, vengono presi e deportati ad Auschwitz dove iniziano una disperata e quotidiana lotta alla sopravvivenza.

La storia di Vladek e Anja si dipana da metà degli anni ’30 fino al 1945, anno in cui dopo alcuni tempi separati, Vladek e Anja si riuniscono e non avendo più un posto (o una famiglia) si trasferiscono negli Stati Uniti per rifarsi una vita.

La storia di Maus è quindi qualcosa di già visto, o perlomeno già raccontato, ciò che conquista e fa proseguire nella lettura sono le vicende, al limite dell’assurdo che Vladek attraversa, gli espedienti che utilizza per salvarsi la pelle e le sofferenze che è costretto a passare, sempre sul filo del rasoio con il terrore di venir ucciso ogni minuto che sopravvive.

Art Spiegelman ci racconta la storia attraverso il suo stesso punto di vista, inchiostrando e trascrivendo i dialoghi ancora prima che suo padre Vladek inizi la storia della sua vita: il presente nel libro è New York dove Vladek e la sua seconda moglie Mala (vi lascio scoprire il destino di Anja da soli!) si sono trasferiti, l’autore li incontra un paio di volte trascrivendo la storia del sopravvissuto ebreo al massacro con minuziosi particolari, arrivando quasi a descrivere elementi inutili ai fini della storia dell’olocausto ma che dipingono l’umanità imperfetta di Vladek, certe volte la sua arroganza e perchè no, anche il suo razzismo verso i neri.

L’elemento che forse induce il lettore a visionare almeno UNA VOLTA Maus è la rappresentazione che Art fa delle popolazioni del libro: gli ebrei sono raffigurati come dei topi antropomorfi, i francesi sono delle ranocchie, i tedeschi sono gatti (famosa la svastica disegnata con un volto felino al centro simile al volto antropomorfo di Hitler), i polacchi sono dei maiali fino agli americani che sono cani.

L’elemento “fumettoso” degli animali non deve trarre comunque in inganno, dopo i primi capitoli tutto sommato leggeri  Maus diventa truce, quasi lugubre, sangue e liquidi corporei vengono mostrati senza particolare pudore così alcune parti anatomiche nel più drammatico dei momenti (le docce / camere a gas), le morti più atroci e terribili vengono raffigurate senza rimuovere dettagli anche forti e sinceramente parlando, non è di conforto vedere dei topini anzi, è forse perfino peggio per chi guarda.

Una foto di Vladek Spiegelman, contenuta in Maus

Altro elemento affascinante della storia è il modo con cui vengono gestiti i dialoghi: mentre nel presente Vladek ha un accento a metà tra lo slang newyorkese e la parlata ebraica, nel passato parla correttamente e in modo sicuro la sua lingua.

Nella traduzione italiana il linguaggio del protagonista nel presente è sgrammaticato, certi termini rimangono legati alla parlata slava mentre nella storia che egli racconta al figlio, la sicurezza del linguaggio la fa da padrone, distinguendo quindi il Vladek anziano da quello giovane, quello sopravvissuto a quello che sopravvive.

Maus è stato creato come due volumi distinti (Mio padre sanguina storia / E qui sono cominciati i miei guai) nel quale sono raccolti 11 capitoli (6 nel primo volume e 5 nel secondo), nel primo volume si parla dell’inasprimento della vita per gli ebrei durante la Guerra, nel secondo viene mostrata la vita di Vladek all’interno del campo di concentramento di Auschwitz, quasi ogni capitolo inizia e si chiude con la visione della situazione presente nel quale Art e Vladek hanno dei confronti, alcune volte duri e violenti, altre volte compassionevoli (esempio di questo è l’ultimo capitolo dove Vladek è ormai vecchio e colpito dall’Alzheimer).

In Italia già da molti anni è presente l’edizione tascabile Einaudi che raccoglie tutta la storia mantenendo separati i capitoli.

Maus a mio parere è l’esempio più bello di come il fumetto d’autore può essere un modo stupendo per rendere omaggio ad una persona, l’opera infatti è dedicata ai parenti dell’autore: dal padre Vladek alla madre Anja fino al fratello Richieu e la moglie dell’autore Françoise Mouly.

 Art Spiegelman è considerato da molti esperti del settore fumettistico uno dei massimi maestri del fumetto d’autore alla pari di Alan Moore (Watchmen, From Hell), Will Eisner (Spirit, Contratto con Dio), Daniel Clowes (Ghost World) e molti altri che sarebbe impossibile elencare minuziosamente…forse un giorno lo farò.

Curiosità in più sull’autore: ha disegnato nel post 11 Settembre la copertina della rivista New Yorker e dopo l’uscita nelle sale del film “La Vita è Bella” di Benigni ha espressamente bocciato l’opera definendola una cosa terribile e “pericolosa” nella metafora che vuole esprimere: cioè che ciò che è accaduto è in realtà solo un periodo brutto che deve essere affrontato con ironia.

Anche per stavolta lo spazio a disposizione è “virtualmente” terminato. Ci si vede alla prossima!!!

-Hail To The Hypnotoad-

Commenti (6)

  1. Sono molto orgoglioso di possedere l’intera opera nel volumone unico, anche se � un po’ rovinato dato che mi � stato regalato usato.

  2. “Raccontare Maus � un�esperienza piena di sorpresa perch� oltre il film �La Vita � Bella� di Roberto Benigni, nessuna opera aveva mai trattato l�olocausto come una storia quasi avventurosa, alcune volte con un sorriso, altre volte con una lacrima malinconica, in questo contesto si pu� veramente dire che simili progetti si contano sulle dita di UNA mano.”
    apparte questa frase non � male l’articolo. cocordo con quanto detto da spiegelmann su la vita � bella.

    1. Come mai quella frase ti lascia perplesso/a?

      Ps. Per tutti quelli che scrivono dei capitoli…LEGGETE IL FORUM o la nostra pagina su FACEBOOK! NON POSTATE PIU NEGLI ARTICOLI!

      1. “Nessuna opera aveva trattato l’olocausto come una storia quasi avventurosa”
        ma cosa stai dicendo? dimmi un film, un racconto, un libro biografico sulla sho� che non sia “avventuroso”. termine per altro tremendo se riferito a questo contesto! si parla di sho� non di indiana jones!!
        semmai la innovazione di Maus sta proprio nella fedelt�. quello che chiami tu con avventura, lacrime , sorriso stanno nelle vite di ognuno. Maus parla di vita, vita distrutta, squarciata, anime dilaniate. La vera Storia!
        Benigni parla di una vita bella. � opinabile ma noi da Auswitchz non siamo morti o sopravissuti.
        si, non abbiamo vissuto la sho�. forse � solo per noi che “La Vita � Bella”.

      2. “la vita � bella”: …se non hai vissuto l’olocausto!

  3. Stupendo fumetto. Narrazione sublime. Geniale e allo stesso tempo introspettivo.
    Certo, il disegno � quello che �… ma comunque rende molto l’atmosfera sporca e grezza dei campi di concentramento.
    Meritati tutti i premi ed i riconoscimenti ricevuti, fra cui un “Pulitzer Prize Special Awards”.

    Alan Moore: “I have been convinced that Art Spiegelman is perhaps the single most important comic creator working within the field and in my opinion Maus represents his most accomplished work to date.”

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