Sono tornato! Dopo un mese di assenza ecco il ritorno della rubrica più cattiva di Komixjam, dove da quasi un anno cerco di presentare anime (visti durante lunghe e strazianti nottate) la cui visione è sconsigliata per motivi sempre vari, usando una pungente ironia, un feroce disgusto oppure facendomi trasportare dalla necessità di organizzare una critica costruttiva. Ovviamente, visto il mese di pausa ho pensato di modificare leggermente la scaletta dei miei articoli, e l’appuntamento di inizio mese con Riflettori sarà questo fine settimana. Ma basta con i convenevoli e lanciamoci al galoppo verso l’Inguardabile di oggi!!
Danganronpa. Un nome che sembra uno scioglilingua, il titolo completo dovrebbe essere Dangaronpa: Kibou no Gakuen to Zetsubo no Kokosei (Il Proiettile della Confutazione: l’Accademia di Speranza e gli Studenti delle Superiori della Disperazione), tratto da una visual novel investigativa originariamente distribuita per PlayStation Portable dalla Spike Chunsoft nel 2010. L’anime in questione, come molti di voi sapranno, è attualmente in corso e sono stati trasmessi nove dei tredici episodi programmati. Ad occuparsi dell’anime abbiamo lo studio Lerche, che sicuramente non è il più noto degli ultimi anni: sono rimasti coinvolti con ruoli minori nella produzione di altri anime come Carnival Phantasm e Persona 4 (che io non ho visto), ma non hanno ancora avuto modo di lasciare un vero e proprio segno nel mondo dell’animazione. Intendo un segno positivo, eh…

La trama di Danganronpa è rapidamente servita allo spettatore: quindici studenti si risvegliano in una scuola le cui uscite sono tutte blindate, e il preside, un bruttissimo orso meccanico (credo, ho ancora le idee confuse dopo questo mese di pausa) che si fa chiamare Monokuma, gli spiega che fanno parte di un progetto molto particolare, e coloro che ne usciranno vittoriosi avranno denaro a sufficienza per finire i loro giorni nel lusso. Per vincere bisogna uccidere un altro dei quindici studenti senza essere scoperti. Le regole del gioco sono molto chiare: una sola persona può essere dichiarata vincitrice, se infatti uno qualunque dei partecipanti riuscisse a farla franca a essere puniti sarebbero tutti gli altri studenti; inutile anche qualunque tipo di collaborazione. Monokuma inoltre ha molte frecce al suo arco in grado di destabilizzare i vari studenti e spingerli a tentare di commettere il cosiddeto crimine perfetto per uscire dall’istituto: più che altro, Monokuma non vuole annoiarsi. Molte delle regole principali vengono attentamente spiegate, passaggio necessario ma che ha indubbiamente appesantito la visione nelle prime parti, anche per la presenza di un numero “elevato” di personaggi.

Fortunatamente la visione non viene appesantita da eccessive scene di vita quotidiana, tutto si concentra sugli omicidi, e sulle rispettive indagini: al centro di esse il protagonista Makoto Naegi, ammesso nell’Accademia per la sua fortuna particolarmente sfacciata, che indagherà e individuerà i colpevoli neppure facesse Shinichi di nome e Kudo di cognome. La parte dei processi, poi, è di fondamentale importanza perchè è in essa che si discutono le varie prove e si individua il colpevole: da quanto ho potuto leggere poi, i “trial” sono uno degli aspetti principali del videogioco nel quale, così come nell’anime Makoto interrompe (usa una “pallottola”) qualcuno quando fa un’affermazione errata, nella versione videoludica il giocatore deve individuare tra il ciarlare di tutti i personaggi le varie menzogne e “colpirle“. Il gioco unisce alcuni elementi investigativi a quelli dei “rhythm game“, creando una combinazione particolarmente interessante… ma qui stiamo parlando dell’anime, che ritengo abbia tre difetti più o meno fatali, a seconda di quanto ci si sente buoni.

Il primo ostacolo alla visione di Danganronpa è indubbiamente il character design: laddove sicuramente alcune persone possono aver apprezzato questo stile così “punk“, parodistico o caricatorio con cui sono stati caratterizzati i personaggi, ho trovato su alcuni di essi la forzatura grafica dello stereotipo un tantino sgradevole. Ciascuno dei quindici personaggi rappresenta uno stereotipo ben preciso, e spesso anche una citazione di qualche altro manga/anime famoso: Mondo Oowada per esempio è un chiaro riferimento a Josuke Higashigata della quarta serie di Jojo (è un teppista, con una pompadour e la scritta “Diamond” sulla schiena); Hifumi Yamada, la palla con due gambe e due braccia, rispetta il tipico stereotipo dell’otaku squallido, un pò pervertito, vigliacco e che sebbene ufficialmente dichiari di essere interessato solo a ragazze virtuali, non sa negare nulla alla dominatrice di turno. Caratteristiche esagerate al punto tale da privare ogni personaggio di qualunque forma di personalità! E i personaggi femminili non sono meglio realizzati, forse ad eccezione di Aoi Asahina (la specialista in nuoto) che è l’unica a mostrare delle reazioni umane nel corso della serie. A partire dalla coprotagonista Kyouko Kirigiri, assolutamente priva di qualunque attrattiva (dico, diamine, se i vostri personaggi sono privi di tutto, caratterizzati peggio, almeno disegnateli in modo che siano moe!!!), passando per Celestia Ludenberg che a causa di un film di troppo sui vampiri è ancora nel pieno del suo chuunibyou… fino a Sakura Oogami che non ho proprio idea da dove l’abbiano tirata fuori. Ed è anche l’unico personaggio femminile di cui vediamo le mutande, trall’altro.
Poi abbiamo Genocide Syo, la fujoshi serial killer con la doppia personalità, distinguibili solo in base a quanto tira fuori la sua lunga lingua dalla bocca (personaggio oltremodo fastidioso perchè capace solo di commenti che non arricchiscono mai la scena); Chihiro Fujisaki, il classico maschio vestito da donna con i complessi di inferiorità, guardacaso diventato un esperto informatico in grado di programmare Intelligenze Artificiali che gli siano amiche perchè troppo debole per avere a che fare con persone reali… troppo, decisamente troppo anche per il sottoscritto: non mi dispiacciono i character design alternativi, ma li trovo orrendi quando servono a nascondere la pochezza delle idee di chi ha scritto la storia. Non esiste una reazione che risulti imprevedibile una volta intuito lo stereotipo di ciascun personaggio, e non c’è un personaggio la cui morte “dispiaccia“: e quando i colpevoli vengono smascherati diventano ancor più patetici nel tentativo di negare ulteriormente l’evidenza. Perchè giustamente ai bimbi piacciono i personaggi che urlano più forte.

Secondo difetto, per quanto mi riguarda anche il più compromettente di tutti, è legato a come è stato gestito l’aspetto investigativo dell’anime. Il fatto che gli elementi importanti ai fini dell’indagine siano sempre molto ben evidenziati vuole essere un invito per lo spettatore a partecipare alle indagini, come accade in molte serie a tono investigativo. Il problema è che all’inizio, quando i personaggi sono sempre tanti, l’unico modo per individuare il colpevole è sceglierne uno a caso (o andare per simpatie), e nelle parti conclusive, quando diventano sempre meno, finisce per essere un compito troppo semplice. Per i primi due omicidi mi è sembrato veramente di giocare a “Indovina chi?” con lo schermo del mio computer; quando poi il colpevole veniva rivelato non potevo fare a meno di farmi scappare un “ah davvero” dovuto soprattutto al fatto che alcuni elementi fondamentali alle investigazioni sono stati tenuti nascosti per creare colpi di scena durante i dibattiti. Mi sono chiesto spesso, durante la visione, se tutti fossero dei veggenti tranne il sottoscritto. Il quarto omicidio poi è il classico “a porta chiusa”, che tutti i serial investigativi tirano fuori quando anche chi non lo guarda si rende conto che le idee sono finite da tempo, per il sottoscritto è stato il colpo di grazia: si è reso necessario stroncare quest’anime. Perlomeno, dico, se devo restare a guardare senza che la mia interazione sia voluta, rendete il tutto un pò più interessante.

Terzo difetto, non ho gradito in nessun modo la scelta “stilistica” di aggiungere un tocco di umorismo (di tipo noir) nelle scene in cui i colpevoli vengono giustiziati. Magari qualcuno potrà in qualche modo aver apprezzato lo stile ricercato con cui alcuni personaggi venivano uccisi, che come scelta sicuramente rinforza il disgusto che si prova nei confronti del personaggio di Monokuma, ma io ho visto solamente cattivo gusto in quelle scene di tre minuti che chiudevano i trial. Cosa vuol dire fare del burro con uno degli assassini? E mettere su una castata di legna per bruciare come una strega Ludenberg, finendo poi ucciderla con l’ambulanza chiamata sicuramente per spegnere il fuoco? Che cosa dovrei fare, io spettatore? Ridere? Per l’ennesima volta mi trovo a dover ricordare che violenza e morte sono elementi difficili da essere usare in modo umoristico (a meno che il pubblico non sia tutto composto da individui con la sensibilità di un primate.)
Di fronte a Danganronpa mi sono trovato indubbiamente spiazzato da un paio di constatazioni che hanno reso la sua distruzione più complessa di quanto credevo. Innanzitutto c’è da dire che rendere la trama di un gioco in un anime di tredici episodi non è assolutamente facile: come vi ho già detto sono stati eliminati tutti gli elementi di “vita quotidiana” in cui la conoscenza dei personaggi trova ampio spazio, preferendo che tutto questo lavoro fosse fatto dagli stereotipi. Inoltre, come accade con i thriller è molto difficile dare un giudizio valido prima della fine… ma siccome a un certo punto mi sono totalmente disinteressato allo svolgersi di questa storia ho deciso di andare a vedere cosa ci sarà nei prossimi episodi. E il finale, lungi da me rivelarvelo, potrebbe in certi casi essere l’unica ancora di salvezza per una serie in cui ancora non riesco a trovare un elemento positivo. La conclusione della storia (della prima, inoltre, perchè esiste un Danganronpa 2) mi ha lasciato comunque perplesso, come il finale di un film diretto negli anni novanta da un certo Vincenzo Natali…

Anche per questo appuntamento abbiamo finito… certo che ho avuto difficoltà nella stesura di questa distruzione, le vacanze devono avermi fatto male. Vi saluto e vi ringrazio per l’attenzione che mi date (e che spero mi darete), e vi ricordo che se avete una serie da sconsigliare per la sottorubrica “On Demand” io sono sempre disponibile a prendere in esame tali suggerimenti. A mercoledì prossimo, quindi, in cui vi attenderà uno dei più grandi paradossi del mercato dell’animazione degli ultimi mesi.



