L’Angolo del Blurry #11 – Largo alla Bakumania…!

 Salve a tutti! Vi porgo i miei più cordiali omaggi da una località segreta in cui Komixjam mi ha spedito in esilio. Qui, sotto la severa guida del maestro Pai-Mei, sto seguendo un corso dal titolo: “Rieducazione alla Non-Polemica”. E’ un corso molto molto duro, soprattutto perchè come prove quotidiane ci sono simulazioni di discussioni con i Teletubbies (con i quali è impossibile non sollevare una polemica), con il pubblico di “Amici di Maria de Filippi” e con Luca Giurato. Insomma… Il vostro Blurry è stremato… Ma – forse- finalmente è il bravo bambino che tutti vorrebbero avere come figlio… (risata).

Scherzi a parte, quest’oggi ho molte cose da dirvi, argomenti che mi permetteranno anche di affrontare in modo semplice ma rigoroso alcuni lati interessanti della cultura giapponese, che – come ormai saprete tutti – mi sono ripromesso di farvi conoscere un po’ meglio sin dal concepimento dell’idea sottesa a questa rubrica.

Direi di cominciare dall’argomento che la farà da padrone per un bel po’: Bakuman! Come vi avevo annunciato la settimana scorsa, mi sono imbarcato nella difficile missione di tradurre un po’ di capitoli di Bakuman, il nuovo manga dei creatori di Death Note, già protagonista assoluto delle pagine dello Shounen Jump. Che dire? Un inizio veramente scoppiettante per questo manga che, neanche a dirlo, ha nel mondo dei manga e dei mangaka il suo tema centrale. Non è un pioniere nel suo genere – ricordo che qualche tempo fa fu pubblicato un manga one-shot dal titolo “Toki wa” che parlava appunto del mondo dell’editoria di genere – ma sicuramente ha già il sapore di un classico. Quali sono i punti di forza di questo nuovo manga? Perchè a soli 5 capitoli dalla sua nascita è già sulla bocca di tutti? La ragione, a mio parere, sta soprattutto nelle tematiche trattate e nel modo in cui essere vengono affrontate dagli autori. Come ho avuto modo di dire più volte, l’ultimo decennio – anche se forse sarebbe più corretto dire quinquennio – ha visto la fioritura di un genere particolare di manga/anime. O meglio, più che di genere parlerei di un “filone” che ha come comune denominatore la tendenza al realismo. Intendiamoci: sono sempre esistiti manga che trattassero di storie di vita quotidiana… La novità è che quelli di oggi stanno portando il realismo a livelli prima d’ora poco esplorati. Anzitutto, la rappresentazione grafica dei luoghi, degli oggetti, dei vestiti: tutto assolutamente identico ai luoghi delle città giapponesi. Vediamo riprodotti fedelmente i classici distributori di bevande che si trovano puntualmente all’angolo di qualsiasi stradina periferica di Tokyo, con tanto di bottigliette e lattine facilmente riconducibili a marche realmente esistenti. Ci imbattiamo in scorci paesaggistici metropolitani caratteristici che sanno tanto di “già visto” agli occhi di chi ha visitato una città come Tokyo. L’oggettistica è anch’essa una fedele riproduzione di quella che popola le vite dei giapponesi: lettori mp3, cuffie ingombranti, scarpe assurde, biglietti del treno, penne, matite, telefoni cellulari piatti e larghi sui quali vengono appiccicati accessori e decorazioni di ogni genere.

Ma a questo livello di aderenza alla realtà “materiale” si accompagna anche la piena maturità intellettuale della generazione di giapponesi nati tra gli anni ’60 e ’70. Questa maturazione si traduce in una consapevolezza profonda e vissuta dei dilemmi che attanagliano la gioventù giapponese di oggi, sospesa tra una società del dovere e la possibilità di vivere la propria vita in modo più simile alla gioventù occidentale. Questo è il dilemma di Moritaka, il protagonista 14enne di Bakuman. Davanti a lui si aprono due strade: finire il percorso di studi ed entrare a lavorare nella “kaisha” (??), termine generale che include qualsiasi tipo di società o azienda in cui si entra come dipendente dopo aver frequentato le scuole, diventando così il cosiddetto “salary man” – quel prototipo di uomo giapponese in camicia bianca, cravatta nera e pantaloni neri che affolla la metropolitana nelle ore di punta insieme a centinaia di migliaia di propri simili. Nella società giapponese post bellica il modello di vita per il giovane giapponese medio è sempre stato proprio questo: l’entrare in azienda – tanto più prestigiosa quanto migliore è stato il tuo rendimento scolastico – è la tappa obbligata per diventare un ingranaggio della società, sposarsi, avere figli e costruirsi così una vita socialmente rispettabile. Questa è la normalità, il cosiddetto “futsuu” (??). Oppure, al contrario, Moritaka potrebbe scegliere di scommettere sul proprio sogno e sul proprio talento nel disegno, diventando così un mangaka. In questo caso, però, si chiuderebbero per lui le porte della società “ordinaria”, e il ragazzo si troverebbe proiettato in una dimensione di incertezza ed insicurezza, in cui rischia di diventare uno di quei bamboccioni che si fanno mantenere dai propri genitori fino a 35-40 anni… Oppure, semplicemente, si espone al rischio di diventare uno dei tanti mangaka che riescono a farsi pubblicare una ventina di capitoli per poi sparire nel nulla e fare la fame. Questa netta contrapposizione tra due stili di vita e tra due generazioni è magistralmente esposta nel monologo interiore di Moritaka che apre il primo capitolo di Bakuman. Ci imbattiamo nella rappresentazione di un ragazzo che sembra inizialmente aver accettato passivamente il proprio destino, la necessità di limitarsi a fare ciò che è “normale”, il minimo indispensabile per essere socialmente accettati in Giappone. Allo stesso tempo però, è lui stesso ad ammettere la propria alienazione quando ci confessa di non avere in realtà nessun interesse per il genere di vita che fa un salary man. Se è vero che al giorno d’oggi molti ragazzi giapponesi continuano ad aderire più o meno consapevolmente all’ideologia della Kaisha, è altrettanto vero che la diffusione di un’istruzione universitaria più simile a quella occidentale e l’evoluzione degli stili di vita sta portando molti ragazzi a intraprendere carriere più avventurose, artistiche, o semplicemente meno “ordinarie”. Questo trova spesso l’opposizione di una generazione di genitori che ha avuto come obiettivo di vita nient’altro che la costruzione di una famiglia, e dunque il raggiungimento di un impiego sufficientemente sicuro da garantire uno stipendio fisso col quale pagare un affitto e mantenere i propri figli.

Bakuman si apre proprio nel segno di questa strana opposizione, che si sbilancia completamente non appena interviene un fattore certo imprevedibile e sufficientemente potente da mettere in crisi anche l’uomo più irremovibile: l’amore. Attenzione, però, a non mistificare questo elemento. Voglio dire, cos’è l’amore tra due 14 enni, se non un qualcosa di ancora poco definito, poco maturo? Eppure, nella vita di Moritaka, freddo e calcolatore fino al midollo, ha l’effetto di una bomba. A mio avviso, in questo possiamo leggere la necessità che dall’esterno giunga uno stimolo sufficientemente forte da spingere un ragazzo a tentare una scommessa così difficile. D’altronde, se noi ci lamentiamo del fatto di essere chiamati a scegliere il tipo di liceo che vogliamo frequentare troppo presto, nel caso di un ragazzo giapponese la faccenda è ancora più angosciante: infatti nel caso giapponese ciò che pesa realmente è il buon nome della scuola che si tenta di frequentare – esame d’ammissione permettendo – e che condizionerà conseguentemente tutta la futura vita professionale. Insomma, un mattone d’angoscia sullo stomaco.

Venendo invece alla parte tecnica, vi assicuro che Bakuman è un divertimento da tradurre! E’ abbastanza complicato, in quanto è pieno zeppo di espressioni slang giapponesi e di riferimenti a cose non immediatamente comprensibili (meno male che la wikipedia giapponese viene in mio aiuto in questi casi!). Ogni personaggio ha un suo stile molto personale, e vorrei rendervi conto di alcune cose che potrete osservare nella lettura. Per i dialoghi tra i due protagonisti ho optato per uno stile decisamente colloquiale, pieno di abbreviazioni, di termini coloriti, e a volte povero di congiuntivi (voglio dire, quando parliamo tra amici non si usano alla perfezione i congiuntivi! A volte non si usano proprio!). D’altra parte però, specialmente Takagi usa non di rado termini complessi e ricercati… In quei casi il registro linguistico si alza decisamente e il suo tono si fa di conseguenza più colto e ricercato. Mi scuso per le molte note che ho ritenuto necessario inserire: a mio parere era doveroso per far capire a tutti battute, giochi di parole e riferimenti che altrimenti sarebbero andati persi. E sarebbe stato un peccato, no?

Detto questo, non mi resta che augurarvi una buona lettura, sperando di aver fatto un buon lavoro e che perdonerete il nostro ritardo nel cominciare questa nuova serie. Stiamo cercando di lavorare al meglio delle nostre possibilità per essere soddisfatti del nostro lavoro. In particolar modo la traduzione può essere molto laboriosa quando si tratta di manga del genere. Non sono mai soddisfatto…!

Infine, per Naruto mi limiterò a fare due osservazioni:

1) Il Raikage passa all’azione…! Che sia l’inizio di una guerra totale nel mondo dei ninja? La frase finale del capitolo lascia presumere proprio questo, non vi pare?

2) Sasuke comincia ad avere bisogno urgente di un oculista 😉