Sì, lo so, è un bel po’ che non scrivo una recensione come si deve dei vari manga, ma purtroppo tra problemi tecnici (3 computer, 3, che si sono rotti contemporaneamente lo stesso giorno) e vicende familiari un po’ particolari (non sto a tediarvi con i mie crucci personali) ultimamente non avevo neanche il tempo di leggere i capitoli settimanali. Mi sono rifatto tra ieri e oggi, recuperando ben 5 settimane (per Fairy Tail 10!) di storie e mi sono fatto un’idea abbastanza chiara di ciò che sta accadendo nelle varie opere mainstream tutt’ora in corso. Parlerò in questa sede solo di Naruto: intendo, entro la fine della settimana, scrivere un articolo per ogni singolo manga fino ad ora trattato (One Piece, Bleach, Fairy Tail e… Hunter X Hunter!) per fare un po’ il punto della situazione sull’evoluzione di queste opere che, ora come ora, mi fanno pensare al fatto che una loro disamina capitolo per capitolo inizi a divenire poco utile. Ma andiamo a parlare della storia di Kishimoto, così che possa spiegarvi meglio cosa intendo.
Naruto 683 – Avevo il tuo stesso sogno. Come dicevo, più che recensire il capitolo, vorrei fare un attimo il punto della situazione, concentrandomi su una sensazione forte che ho avuto leggendo il capitolo 680 e che da allora non mi ha più abbandonato. Non so voi, ma io ho una sensazione di ineluttabilità, di “chiusura”, nel leggere questi ultimi capitoli: tutti sappiamo che Naruto sta per terminare, per ammissione dello stesso Kishimoto, eppure mi sembra che le cose stiano addirittura precipitando, come se, mentre fino ad ora il buon Kishi ha cercato di dilatare il più possibile gli eventi (leggi: allungare il brodo), adesso si sia convinto di chiudere in quattro e quattr’otto la sua saga. Sì, so benissimo che in realtà le cose non stanno né precipitando né correndo: la narrazione è ancora lineare, non c’è “affrettamento” e, se vogliamo, bene o male, Kishi riesce ancora a dilungarsi, quando può. Eppure ogni volta che inizio a leggere un nuovo capitolo,mi sembra che accanto al titolo, più che la numerazione progressiva del capitolo, ve ne sia una regressiva di quanti ne manchino alla fine!
Detto questo, vorrei fare una semplice osservazione sulla storia e su come essa sia stata dipanata dopo l’attivazione dello Tsukuyomi. Se fino al momento in cui Madara ha “aperto il terzo occhio” era lui l’unico e incontrastato protagonista della scena (lo scrissi qualche tempo fa che aveva soppiantato tute le figure presenti nella narrazione), nel momento in cui viene pugnalato alle spalle (e non solo metaforicamente) la “palma di miglior attore” viene equamente distribuita non solo tra Naruto e Sasuke, ormai paladini unici contro un male soverchiante, ma anche tra tutti quelli che ancora non sono stati colpiti dalla “maledizione” del sonno eterno, e Kishimoto sottolinea questo fatto mettendo sotto i riflettori, nell’ultimo capitolo, proprio quell’Obito che, per certi versi, si poteva pensare avesse esaurito il suo compito, e facendoci sperare, per i prossimi capitoli, un utilizzo forse finalmente “vero e costruttivo” della inutile Sakura!
Sebbene sulle prime questi continui cambiamenti di punti di vista mi avevano fatto storcere un po’ il naso (Kishimoto non è il tipo da “differenti linee narrative”) mi sono reso conto, forse perché ho letto questi capitoli tutti insieme, che per l’ultima volta e, probabilmente, in modo più esplicito e definitivo, il nostro mangaka ha voluto sottolineare, in maniera incontrovertibile, quale sia il tema fondamentale di questa storia: il ripetersi degli eventi, l’ereditarietà, il destino e la predestinazione. Kishimoto ha costruito una storia basata su una serie di “autoreferenze” degne del miglior loop logico, dipingendo una serie di figure che, nel corso della “Storia” (quella del mondo di Naruto, non quella del manga narrato) si sono avvicendate rivestendo ruoli simili, ricoprendo incarichi fondamentalmente identici, richiamando addirittura nell’aspetto predecessori e discendenti. Il concetto di “lascito”, di tradizione, di “dover portare avanti una vicenda che prende vita sin dalla notte dei tempi” è sempre stato il punto nevralgico di questa narrazione: che poi in certi casi sia stata fatta male, o che sia stata affrettata, ora come ora poco importa. Nonostante le possibili incongruenze logiche, i “conigli cacciati a forza dal cilindro”, i cambi di prospettiva che, lo ripeto, non sono proprio la cosa in cui Kishimoto riesce meglio, siamo giunti alla conclusione di una vicenda che, ad andarla a sviscerare capitolo per capitolo, col senno di poi, è costituita da tanti tasselli perfettamente incastrati, mattoncini di una costruzione che risulta un perfetto “ponte di collegamento” tra passato e presente. Vero che spesso e volentieri, soprattutto ultimamente, Kishimoto ci ha fatto dannare; ma è anche vero che, anche se Naruto, magari, non risulterà un’opera “epocale”, il lavoro di Kishimoto ha portato un senso di “sistemazione”, di canonizzazione se volete, nelle storie shounen alla “Weekly Shounen Jump” che probabilmente mancava. E questo è proprio legato alla sua scelta di basare un’opera “apparentemente slegata dalla tipica tradizione Giapponese” a tematiche culturalmente e “religiosamente” nipponiche in tutto e per tutto, rielaborando miti e leggende, facendo presente, anche senza l’uso di termini quali “Senpai” o simili, che il rapporto tra i personaggi, la loro volontà, i loro “sogni” (come appunto ci ricorda questo capitolo) sono comunque comminati ad un’unica ottica sociale.
E ora, Naruto, inevitabilmente, sta per terminare: e sebbene quello che ho scritto possa sembrare più la “recensione conclusiva” di questo manga, che non una delle solite discussioni che ci facciamo su questa opera, credo che ancora per qualche settimana, potremo scambiare opinioni sulla conclusione di questa saga. Sperando che Kishimoto non riesca a rovinare, in maniera completa e definitiva, il finale della sua storia (che, comunque, suppongo ormai molti abbiano ipotizzato quale possa essere). Staremo a vedere: nel frattempo, continueremo a leggere.
