Il non semplice matrimonio tra mondo del lavoro e fumetti

C’è una dimensione che va oltre i confini del reale, un luogo senza tempo e con regole spesso insensate a cui, però, dobbiamo obbedire: il mondo del lavoro. Nonostante l’eccesso del parallelo con la “Twilight Zone“, chi non ha provato la dilatazione delle ore in ufficio o non si è scontrato con procedure che sfidano ogni logica? L’alienazione lavorativa risulta essere un terreno fertile per l’umorismo e l’ironia, strumenti fondamentali per gestirne la complessità e la frustrazione.

mondo del lavoro

I fumetti ed il mondo del lavoro

A tal proposito sono tre i fumetti che si basano profondamente su tale concetto. Il primo è Bristow (Frank Dickens, 1960-2012). Il protagonista omonimo è l’impiegato rasoterra della mastodontica Chester-Perry, un microcosmo scandito da eventi assurdi (come il “terrificante disastro del carrello del tè del ’67”). Nonostante sia vessato dal pendolarismo e dal capufficio Fudge, Bristow trova il suo modo per sopravvivere: lavorare il meno possibile.

Il suo segreto è ignorare la realtà costrittiva e monotona, coltivando sogni romantici o leggendo “Neurochirurgia per dilettanti“. La sua filosofia, se la realtà è soffocante, ignorala, ha conquistato lettori in tutto il mondo (tranne gli USA, poiché Dickens si rifiutò di americanizzarlo).

Il secondo fumetto è Il Laureato (Luca Novelli, dal 1974). Qui Novelli cattura i cambiamenti italiani attraverso l’archetipo del neolaureato che cerca di farsi strada in un ambiente dominato da favoritismi, dove lo studio conta ben poco. Negli anni ’80, con l’avvento dello yuppismo, anche “Il Laureato” si evolve, trasformandosi in un rampante Y.U.P. (Young Urban Professional), simboleggiando la trasformazione socio-aziendale. Il terzo testo è Dilbert (Scott Adams, dal 1989).

La satira si aggiorna con Dilbert, l’ingegnere informatico frustrato dalle prassi aziendali che generano inefficienza. Il suo manager senza nome, incompetente ma abile con il gergo dirigenziale vuoto, è la quintessenza della stupidità aziendale. In questa situazione disperante, il pubblico si riconosce, trovando sfogo nei personaggi secondari più cinici e vincenti, come Dogbert (il cane consulente) o Catbert (il crudele HR). Dilbert ha persino lanciato il suo “principio”: le aziende promuovono i dipendenti meno competenti ai ruoli direttivi per limitare i danni che potrebbero fare nelle mansioni operative.

La formula per una striscia di successo sul lavoro è quindi quella di impastare gli elementi deprimenti dell’ufficio e correggerli con una “grattugiata di follia”, aggiungendo l’immancabile ciliegina sulla torta: il ragionier Ugo Fantozzi (anche nella sua meno nota versione a fumetti del 1993). C’è, però, un approccio più contemporaneo e costruttivo, quello di Tom Fishburne, il “marketoonist”. Formato alla Harvard Business School, Fishburne utilizza l’ironia delle vignette per affrontare in modo rigoroso temi specialistici come il marketing e la leadership, ricordandoci che ciò che facciamo per vivere non è necessariamente ciò che siamo.