Animazione Disturbante #2 – When the wind blows

di Kirisuto Commenta

 

Come prevedevo, il mio articolo su Una tomba per le lucciole non vi ha trovati d’accordo. Ma è più che normale avere opinioni differenti, grazie al cielo.

 

Il nostro secondo appuntamento è con “Quando il vento soffia” (When the wind blows). Film dell’86 dal peculiare stile di animazione che mischia diversi stili con footage reali. E vorrei cominciare a parlare proprio dall’animazione perché proprio questo suo mix di stili, in qualche modo contorto, permette una maggior immedesimazione con la situazione che avviene. Visti i temi del film ciò è un punto nodale; riuscire a far capire, e vivere, una situazione post-atomica a noi (e con noi intendo la generazione post muro di Berlino), che la minaccia della Guerra Fredda sembra solo un altro di quei capitoli nei libri di Storia, è un enorme punto a favore. Non c’è caos, non c’è disperazione, non c’è chiasso ma solamente un silenzio tombale e una solitudine che attanaglia. Questo lo provano i protagonisti, ma noi che li osserviamo non possiamo fare a meno che provare una triste rabbia disperata per l’ingenuità in buonafede che li anima lungo il corso del film.

 

Questo film mostra tre “set” di personaggi, coerenti al periodo storico e alla situazione. La coppia di protagonisti mostra i primi due set. Due pensionati inglesi di mezza età, bambini durante la Seconda Guerra Mondiale (ma sufficientemente cresciuti per ricordarne i bombardamenti e gli eventi), isolati da tutti nel loro cottage in campagna. Sanno cos’è la guerra, sanno bene cosa vuol dire sentirsi bombardati e dover vivere in rifugi, ma quello è ormai un modo di far guerra antiquato. Il marito lo sa bene e ai primi accenni di possibile entrata in guerra con un ignoto paese nemico (identificato però con la Russia) si dà da fare per costruire un rifugio antiatomico secondo le “direttive del governo” illustrate su un volantino. Se alcune direttive risultano sensate, come accumulare scorte d’acqua, altre sono totalmente inutili: costruire un rifugio in superficie con porte di legno e cuscini. La totale fede nelle direttive governative instilla una tenerezza mista a pietà nei confronti di James. Veniamo mossi a provare orgoglio per la sua operosità e la sua capacità di percepire, apparentemente, la differenza tra gli armamenti passati e quelli moderni ma poi giunge la compassione profonda per il fallimento a cui tutti i suoi sforzi conducono.

Sua moglie, dal canto suo, ha lo stesso background ma reagisce in modo scettico a ciò che le accade attorno. Il tipico atteggiamento della casalinga più interessata al tè delle 17 che al bombardamento nucleare che sta avvenendo. Se in nella prima parte del lungometraggio ci accodiamo alla sua accondiscendenza verso il marito vista la minaccia impercepibile, nella parte centrale il protrarsi di questo atteggiamento a sventura avvenuta risulta vagamente irritante. Ma a mano a mano che la storia procede nell’apatia postatomica di una coppia isolata di sopravvissuti non possiamo che abbandonare ogni sentimento di fastidio e/o risentimento e abbandonarci allo sconforto.

Il terso “tipo” di personaggio non viene però rappresentato graficamente ma viene comunque presentato nella narrazione: il figlio. Quando per radio il governo annuncia che “La guerra potrebbe scoppiare nel giro di due o tre giorni.” la reazione di chi ha passato la WWII è quella di prepararsi al peggio, quella della nuove generazioni è quella di ridere in faccia ai padri (via telefono) per la loro ingenuità che una guerra di proporzioni nucleari possa davvero accadere.

Introducendo animazione e personaggi ho più che sfiorato la storia di questo vento che soffia. Si potrebbe riassumere brevemente con: scoppia una guerra atomica, una bomba viene sganciata nella periferia inglese e una coppia pensionata che vive in campagna subisce in toto il fallout morendo di una morte lenta e atroce dovuta a “errori” dannosi, come bere acqua piovana in pieno fallout.

 

Non ci sono immagini, durante il film, che facciano riferimento a un immaginario di riferimento (o almeno non che io l’abbia percepito). Ma ciò non vuol dire non ci siano scene forti e cariche di significato. Ho trovato questo film profondamente d’impatto e ben più capace di trasmettere una situazione del titolo analizzato settimana scorsa. Ieri, a film finito, sono uscito di casa e ho ringraziato il cielo che fosse una bella giornata serena e soleggiata.

 

Un film che fa sorgere degli interrogativi. Primo fra tutti: se accadesse a noi ora potremmo dire di essere meglio preparati di questa coppia di mezza età? Avremmo i mezzi per difenderci da soli da una minaccia nucleare se completamente abbandonati a noi stessi? I nostri protagonisti possono davvero dirsi fortunati nell’essere sopravvissuti all’esplosione grazie al loro rifugio rudimentale? Cos’avrebbero potuto fare per cambiare la loro condizione che producesse effetti migliori di quello che han fatto durante il lungometraggio?

Perché se è vero che rifugiarsi nella cantina avrebbe potuto difendere meglio da esplosione e fallout, si sarebbe comunque poi presentato il problema delle provviste e del rifornimento d’acqua. A scanso di un intervento esterno e/o di una abbondantissima scorta di viveri qualsiasi persona avrebbe subito la stessa sorte, per quanto organizzata. Un risultato lapidario che mette in luce come l’elemento fondamentale per la “salvezza” postatomica sia la cooperazione e di come l’elemento “società-gruppo” sia l’unico che possa aiutare i solitari e gli emarginati. Una questione che fa però riflettere su un altro punto: se cooperare è la risposta, perché si è arrivati al punto di doversi spedire testate atomiche a vicenda senza francobolli?

 

Forse la sto tirando un po’ per i capelli, ma è questa la sensazione che mi ha dato l’opera. I due protagonisti aspettano invano, fino a che la morte sopraggiunge, l’arrivo di soccorsi che li evacuino. La mancanza di questi soccorsi è un riflesso, a mio avviso, di come macroscopicamente si sia arrivata alla mancanza di collaborazione e quindi al risultato atomico. Come a sottintendere che a collaborazione sta pace, mentre a isolamento e discordia sta guerra atomica.

Forse un po’ eccessivo…

 

Sta di fatto che, anche senza cercare messaggi impliciti, il film arriva come un montante al diaframma pronto a far pensare.

 

-Shall we pray, dear?

– Pray?

– Yes.

-Oh, crumbs. Er… Who… Who to?

 

Vi aspetto settimana prossima con l’anime, tra due settimane con Watership Down trasposizione animata de “La collina dei conigli”.

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