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  • #997782

    Al di là della pagliacciata, il vastissimo consenso che ha tra i veneti l’idea dell’indipendenza dovrebbe fornire più di uno spunto di riflessione.

    Non per aggirare la discussione dei problemi che certamente ci sono e non riguardano solo il Veneto (e, a dirla tutta e senza basarsi esclusivamente sulle questioni dettate dall’attualità, i cittadini del Sud Italia avrebbero molte più motivi dei veneti per lamentarsi, anche storicamente, semplicemente se si esaminasse con attenzione la genesi del Regno d’Italia e la disparità di trattamento ricevuto, eppure non autoproclamano un giorno sì e l’altro pure l’indipendenza della propria terra), ma questo “vastissimo” consenso vorrei davvero che fosse quantificato. Il Corriere della Sera, come certamente già avrete letto o sentito, basandosi sui dati raccolti attraverso siti specializzati che controllo il flusso dei domini online, attesta una media di circa 100000 aderenti al “referendum sull’indipendenza” (il più generoso fa una stima approssimativa di 135000 visite), il 10% dei quali registrati in Cile. Non pochi, ma nemmeno molti per una regione che conta più o meno 5 milioni di abitanti.
    Insomma, non vorrei che si stesse davvero sprecando fiato per un fenomeno di nicchia e francamente basato perlopiù, come hai fatto notare, su motivazioni di natura puramente economica anziché su fondamenta etnico-sociali o idealistiche. Facendo un esempio per far emergere la grettezza e l’assurdità del tutto, si potrebbe dire che, seguendo questo modo di impostare la discussione, in ogni condominio in cui si fanno lavori per permettere anche a disabili e anziani di accedere ai piani superiori, chi non ha di questi problemi potrebbe dichiararsi indipendente e non pagare la sua quota. Insomma, ha ragione Cacciari: ognuno può sostenere le sue idee, ma se non c’è serietà né onestà da parte dei vertici di un movimento di questo tipo, che si presume rappresentino tutti gli altri fedeli alla causa, non vale nemmeno la pena di provare a discutere (difatti non ne ha voluto sapere di dialogare con il guru di turno mentre era ospite a Le Invasioni Barbariche qualche giorno fa :asd:).

    ———- Post added at 00:14 ———- Previous post was at 00:11 ———-

    Secondo me, prima di rivedere il gettito fiscale nelle sue dinamiche, bisognerebbe eliminare tutti gli sprechi attuali e ridefinire la ripartizione delle regioni (20, per un Paese piccino come il nostro, sono davvero troppe). Se non altro per una questione di cosiddetto buon senso.

    #997783
    meruz
    Membro

    Non per aggirare la discussione dei problemi che certamente ci sono e non riguardano solo il Veneto (e, a dirla tutta e senza basarsi esclusivamente sulle questioni dettate dall’attualità, i cittadini del Sud Italia avrebbero molte più motivi dei veneti per lamentarsi, anche storicamente, semplicemente se si esaminasse con attenzione la genesi del Regno d’Italia e la disparità di trattamento ricevuto, eppure non autoproclamano un giorno sì e l’altro pure l’indipendenza della propria terra), ma questo “vastissimo” consenso vorrei davvero che fosse quantificato. Il Corriere della Sera, come certamente già avrete letto o sentito, basandosi sui dati raccolti attraverso siti specializzati che controllo il flusso dei domini online, attesta una media di circa 100000 aderenti al “referendum sull’indipendenza” (il più generoso fa una stima approssimativa di 135000 visite), il 10% dei quali registrati in Cile. Non pochi, ma nemmeno molti per una regione che conta più o meno 5 milioni di abitanti.
    Insomma, non vorrei che si stesse davvero sprecando fiato per un fenomeno di nicchia e francamente basato perlopiù, come hai fatto notare, su motivazioni di natura puramente economica anziché su basi etniche o idealistiche. Facendo un esempio per far emergere la grettezza e l’assurdità del tutto, si potrebbe dire che, seguendo questo modo di impostare la discussione, in ogni condominio in cui si fanno lavori per permettere anche a disabili e anziani di accedere ai piani superiori, chi non ha di questi problemi potrebbe dichiararsi indipendente e non pagare la sua quota. Insomma, ha ragione Cacciari: ognuno può sostenere le sue idee, ma se non c’è serietà né onestà da parte dei vertici di un movimento di questo tipo, che si presume rappresentino tutti gli altri fedeli alla causa, non vale nemmeno la pena di provare a discutere (difatti non ne ha voluto sapere di dialogare con il guru di turno mentre era ospite a Le Invasioni Barbariche qualche giorno fa :asd:).

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    Secondo me, prima di rivedere il gettito fiscale nelle sue dinamiche, bisognerebbe eliminare tutti gli sprechi attuali e rivedere la ripartizione delle regioni (20, per un Paese piccino come il nostro, sono davvero troppe). Se non altro per una questione di cosiddetto buon senso.

    Ho un gran rispetto per te winston, visto che fai sempre degli interventi molto oculati e pacati, ma in questo caso mi sembra che tu abbia usato delle parole esagerate. E’ così assurdo che la gente sia esasperata per una situazione insostenibile? L’esempio del condominio lo cambierei così: “in ogni condominio in cui si fanno lavori (umidità? perdite?) alcune famiglie pagano anche per altre che evidentemente lasciano il rubinetto aperto 24/7”

    I numeri sono sbagliati? Mi ci gioco tutto che ho. Ora proviamo a immaginare un “referendum” fatto con metodi più tradizionali, che non involgano l’uso di tecnologie sconosciute a chi in genere a più di 50-60 anni, che nel veneto costituisce una bella fetta della popolazione che manco saprebbe da dove partire per “votare” con il sistema che è stato utilizzato se non erro. Sono via da un bel po’ di mesi, ma francamente non mi sento di definirlo un fenomeno di nicchia (come neanche un plebiscito, per carità).

    Una mia considerazione poi, rivedendo la ripartizione del gettito fiscale, si rivedono indirettamente gli sprechi: regione “pincopalla” avrà a disposizione “x” euro il prossimo anno, importo stimato usato certi criteri, o pincopalla rivede gli sprechi o fallisce e allora semplicemente si trovano i responsabili.

    Colgo la palla al balzo per lanciare un discorso che ho avuto con degli amici di roma, questo mio post me l’ha fatto tornare in mente, ma , semplicemente una digressione che abbiamo avuto e che mi piacerebbe condividere, e se a qualcuno interessa anche estendere.
    Noi italiani siamo un popolo di “perbenisti a chiamata”, appena una protesta (di qualsiasi tipo) parte, tutti pronti ad alzare il dito, mai a partecipare per provare a cambiare qualcosa. Che sia lo sciopero dei trasporti, la manifestazione per le vie di roma, o chissà che altro, il tutto viene smorzato in poche ore/giorni, e il tutto ritorna allo stato precedente delle cose. Non ci diamo neanche la possibilità di sbagliare.

    #997784

    Ho un gran rispetto per te winston, visto che fai sempre degli interventi molto oculati e pacati, ma in questo caso mi sembra che tu abbia usato delle parole esagerate. E’ così assurdo che la gente sia esasperata per una situazione insostenibile? L’esempio del condominio lo cambierei così: “in ogni condominio in cui si fanno lavori (umidità? perdite?) alcune famiglie pagano anche per altre che evidentemente lasciano il rubinetto aperto 24/7”

    Cerco di chiarire il mio punto di vista sulla questione.
    Ho parlato di grettezza per evidenziare come, a mio parere, l’autoderminazione di un popolo non può essere ricondotta solo a fattori economici (tra l’altro basati su sistemi produttivi creati dall’uomo e non imposti dalla natura, visto che le industrie bisogna costruirle e non si trovano già pronte, così come le banconote non crescono sugli alberi, ma bisogna stamparle). Tutt’altra cosa è la volontà assolutamente legittima di una comunità specifica di staccarsi da una comunità più grande che la include perché non si riconosce nella sua cultura, nelle usanze, nei valori, nella legge e chi più ne ha, più ne metta. Al Paese mio, tuttavia, chi è disposto a prendere misure così drastiche e che verranno imposte anche a chi non è d’accordo con lui (perché, pur non vivendo lì, sono certo che ci sono tantissimi veneti che vogliono essere parte integrante e propositiva dell’Italia) unicamente per denaro viene definito gretto (lo so, non è un uso precisissimo del sostantivo, ma rende bene l’idea).

    Inoltre, come sappiamo tutti, i problemi dell’Italia non riguardano solo il Veneto. Anzi, ci sono regioni che non sono mai riuscite a raggiungere la prosperità che il Veneto è riuscito ad ottenere in particolar modo negli anni ’80 e di certo non perché i veneti sono più intelligenti e/o più operosi degli altri (spero che tu sia d’accordo su questo); eppure, non mi risulta che facciano pagliacciate (mia modestissima opinione) come organizzare un “referendum” in maniera unilaterale e incostituzionale (si impari dagli Scozzesi come si realizzano nel rispetto delle regole e degli stessi cittadini certe cose – come scrissi in occasione della situazione verificatasi qualche tempo fa in Crimea spiegando meglio le mie ragioni – se ti interessa, puoi andare indietro di qualche pagina nella discussione e ritrovare il post specifico -, un referendum non può essere proposto e celebrato nel giro di poche settimane).
    Infine, ad essere assurdo è il pensare che, una volta isolatosi, il Veneto torni a prosperare. Prima di tutto, con la globalizzazione più si è grandi e più si è competitivi e non il contrario (difatti gli artigiani e le piccole imprese chiudono – e non da oggi – perché non riescono più a reggere la concorrenza sleale – sotto più punti di vista – dei colossi che macinano tranquillamente soldi anche in tempi di carestia, magari anche producendo in Paesi dove il costo del lavoro è basso e rivendendo dove il costo della vita è elevato per ridurre le spese e massimizzare i profitti). In secondo luogo, il giorno dopo aver ottenuto l’indipendenza, il Veneto sarebbe fuori da tutti i trattati dell’Unione Europea, risultando pertanto un’entità estranea in Europa anche – mi limito a questo punto perché il problema di fondo mi pare essere quello monetario – sotto il profilo commerciale (dazi, restrizioni et similia, scelgo voi! :asd:). Allo stesso modo, coniando una moneta che verosimilmente sarebbe più debole dell’euro, il valore d’acquisto dei risparmi attuali dei veneti diminuirebbe e mi pare che il Veneto (così come l’Italia in generale) non sia assolutamente indipendente sotto il profilo della produzione energetica e del reperimento delle materie prime di cui l’apparato industriale necessita per alimentarsi: in pratica, pagherebbe di più per importare ciò di cui ha bisogno per poter realizzare i prodotti da esportare a prezzo ridotto con lo scopo di guadagnare più rispetto ad ora. La domanda legittima è se il gioco valga la candela. La svalutazione continua è un “trucchetto” che l’Italia ha già fatto in passato, producendo i risultati spaventosi che noi tutti conosciamo (perché i debiti si devono pagare prima o poi e se non li paga chi li fa, sarà costretta a farne le spese la generazione successiva: normalmente funziona così se gli accordi presi bilateralmente valgono ancora qualcosa).
    Ovviamente ho solo toccato la punta dell’iceberg, ma spero di aver in parte chiarito perché ho usato i termini grettezza e assurdità per definire l’iniziativa intrapresa da alcuni personaggi, che mi pare mirino più a cavalcare la rabbia sociale dei propri concittadini/compatrioti per ottenere vantaggi personali (chi sarebbero i primi presidenti e politici dello Stato indipendente del Veneto se non i promotori della secessione?) che non a fare la loro parte per chiedere maggiore equità fiscale e legislativa, ma a vantaggio non solo dei propri amici e conoscenti, bensì del Paese tutto.
    In conclusione, non ho nulla contro i Veneti e comprendo la loro esasperazione, ma non posso tollerare certi comportamenti che partono da presupposti meschini e mirano all’autodistruzione.

    Comunque, francamente non vedo la contraddizione fra solidarietà comunitaria e responsabilità fiscale. È ovvio che chi spreca i soldi pubblici non è degno di maneggiarli, ma fare una classifica generale degli sprechi è difficile se le regole sono diverse (se in Veneto un ospedale paga una siringa e in Calabria un ospedale paga quella stessa siringa , la colpa è dell’ospedale o di chi impone il prezzo delle siringhe? Se si ridistribuissero le tasse prima di tagliare gli sprechi e omologare i costi, a farne le spese sarebbe l’ospedale calabrese e i suoi pazienti, anziché chi realmente è nel torto). Da qui la mia convinzione che prima di qualsiasi ristrutturazione ragionata del sistema fiscale occorra eliminare le differenze fra i vari enti (ovvero, come primissimo passo, ridefinire il numero e la composizione delle regioni, eliminando le eccezionalità degli statuti speciali, e imporre che i costi siano uguali in ogni parte del Paese).
    Ti sembro ancora così esagerato?

    Sul discorso che hai fatto con i tuoi amici romani, è innegabile il fatto che l’italiano medio non sia propenso ad andare oltre la mera protesta verbale in caso di insoddisfazione. Lo si è visto anche con il M5S, dove, tra tutti quelli che hanno votato Grillo alle politiche “per protesta”, in quanti poi hanno realmente iniziato a frequentare il blog del capo, i forum di discussione online dei simpatizzanti e i luoghi di ritrovo degli attivisti locali per mettere insieme proposte e stilare programmi? Una percentuale davvero esigua. A malincuore, mi tocca ammettere che forse è proprio vero che la massima popolare che meglio rappresenta l’indole del cittadino italico è “Franza o Spagna purché se magna”. In altri luoghi, come insegna la storia e come mostra l’attualità, le comunità locali sono molto più attive nel lottare per i propri diritti. Sarà questione di clima o di alimentazione. Chissà. 😀

    #997787
    meruz
    Membro

    non quoto per non riempire la pagina

    Su molte cose non siamo d’accordo. 😀
    Partiamo dal fatto che questo “referendum” è probabilmente una pagliacciata, ma lo scopo (spero) era quello di dare una scossa e dimostrare che qualcosa si può fare, che adesso sia uscito per ragioni economiche è forse innegabile, ma che l’idea sia nell’aria da decenni per altri motivi forse lo è pure (basti vedere a tutti quei “movimenti”, “partiti” in stile lega per intenderci).

    Vorrei poi capire cosa pensi della scozia (davvero non ho trovato il tuo post :sad1:, forse devo ancora svegliarmi), nel senso, come applichi tutte le ipotesi di gestione della nuova economia alla scozia (come dimensioni non siamo lontanissimi), a me risulta abbastanza chiaro che la scozia resterebbe in zona eu nell’eventualità, e pur potendo condividere l’assurdità dell’indipendenza accelerata del veneto, tra le questioni c’era anche la decisione se restare in zona eu o meno, è un problema che viene considerato. Sono d’accordo che un veneto indipendente e fuori eu muore in 2 mesi.

    Sono d’accordo sulla non essere più intelligente di nessuno, non sull’operosità (in media, perché poi i mammoni ci sono ovunque e le persone valenti pure), perché questo è quello che mi viene detto e fatto notare da amici che vengono da altre parti, portando anche alcuni spaccati di vita per spiegare il tutto. E le ragioni sono probabilmente sociologiche, facili da spiegare e confermare.

    Con l’ospedale hai toccato uno degli esempi a cui pensavo. 😀 Non è la prima volta che esce una storia di tangenti nell’acquisto di materiale e sprechi vari, il prezzo può essere “imposto” (anche se sono molto diffidente su questo), ma se questo è veramente un libero mercato, che si cerchi altrove (dico questo perché io ricordo dei dati tipo: lombardia costo x, calabria (?) costo 3*x). E’ irragionevole (sospettoso?) continuare a comprare dove costa di più. Poi, ho voluto restare sul vago di proposito perché un taglio netto è controproducente (se alla regione sicilia facciamo notare che ha 10 volte il numero dei dipendenti nel corpo forestale della provincia di trento+provincia di bolzano e vogliamo tagliare in un anno, che fanno poi i disoccupati?), ma a lungo andare si possono avere dei risultati con dei tagli graduali.

    Clima e alimentazione, non so se l’hai detto seriamente, ma la questione è quella. :asd: Avevo letto qualcosa in merito, ma non essendo il mio campo mi ci vorrebbe un po’ per recuperare del materiale. Per riassumere, si guardi all’economia dei paesi scandinavi e a quelli “più a sud” (spagna, italia, grecia, portogallo, ecc.).

    #997805

    Vorrei poi capire cosa pensi della scozia (davvero non ho trovato il tuo post :sad1:, forse devo ancora svegliarmi), nel senso, come applichi tutte le ipotesi di gestione della nuova economia alla scozia (come dimensioni non siamo lontanissimi), a me risulta abbastanza chiaro che la scozia resterebbe in zona eu nell’eventualità, e pur potendo condividere l’assurdità dell’indipendenza accelerata del veneto, tra le questioni c’era anche la decisione se restare in zona eu o meno, è un problema che viene considerato. Sono d’accordo che un veneto indipendente e fuori eu muore in 2 mesi.

    Il post a cui mi riferivo era relativo alle modalità referendarie utilizzate in Crimea. Sulla Scozia non ho ancora scritto nulla qui. 😉
    In ogni caso, la Scozia non usa l’euro, bensì la sterlina, e il governo centrale britannico ha già lasciato intendere che, in caso di indipendenza, la concessione di continuare ad effettuare le transazioni con la stessa moneta non sarebbe così scontata. Non è che puoi fare come ti pare e poi non mettere in conto che gli altri prendano provvedimenti per tutelarsi: detto meglio, l’autodeterminazione deve confrontarsi necessariamente con il pragmatismo e con l’autodeterminazione altrui. Allo stesso modo, il percorso che porta ad entrare nell’UE è arduo e lungo: tendenzialmente potrebbero volerci anni e metti pure nel novero delle cose il referendum che si terrà nel 2017 sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione Europea. Difatti, secondo i sondaggi più recenti, ad oggi la maggioranza degli Scozzesi voterebbe per restare nel Regno Unito e non per l’indipendenza.
    Per quanto riguarda le modalità, invece, ed è questo il punto che mi interessava di più, bisogna notare come il referendum scozzese che si terrà a fine 2014 è stato indetto a fine 2012 in seguito a trattative con il governo britannico. Le differenze con la “pagliacciata” sono talmente evidenti da rendere superfluo qualsiasi commento.

    Ci tengo a sottolineare, d’altro canto, che la Scozia ha accesso alle più consistenti riserve di petrolio dell’intera Unione Europea; ergo è in una situazione leggermente (eufemismo) differente da quella veneta. Tuttavia, anche quelle riserve che oggi garantiscono un certo grado di prosperità andrebbero inevitabilmente ad esaurirsi nel corso dei prossimi decenni. A quel punto che si fa? Si organizza un referendum per chiedere di essere riammessi nel Regno Unito?

    Parlando, invece, in generale e non del caso particolare della Scozia, vorrei proporre una riflessione banale sull’uso della moneta (non so se tu sei per uscire dall’euro o no in caso in indipendenza così come in caso di “resistenza” :asd:), premettendo che a mio avviso il sistema politico ed economico vigente attualmente nell’UE sia da cambiare.
    Saltando a piè pari le considerazioni sulla fattibilità dell’operazione – comunque non secondarie -, dico questo: si fa tanta propaganda su quanto e come l’euro abbia distrutto la nostra economia e su quanto e come prosperi chi non ha aderito alla moneta unica (eppure mi chiedo se la classe media di questi Paesi UE senza euro possegga una media di tre televisori per famiglia o se non vada oltre i due e se la stragrande maggioranza di quelle stesse famiglie sia proprietaria di casa come lo sono gli italiani o se alloggi in affitto). Si fa poca propaganda, invece, su quanto e come la stragrande maggioranza dei commercianti italiani, a pochi mesi dall’entrata in vigore dell’euro, abbia raddoppiato i prezzi infischiandosene allegramente del cambio ufficiale e causando un’erosione notevole del potere d’acquisto di tutti i lavoratori dipendenti (ovvero la maggior parte dei cittadini), i quali non hanno ottenuto un parallelo raddoppio dei salari. Questo trucco, come era facilmente prevedibile, si è ritorto contro gli stessi prestigiatori, perché se è vero che in un primo momento chi ha sempre acquistato continua a farlo magari intaccando i risparmi, raddoppiando gli incassi di chi vende sebbene le vendite siano le stesse di prima, va da sé che, una volta che i risparmi si riducono, la clientela tirerà sempre di più la cinghia sui consumi generando un abbassamento dell’introito del venditore.
    E si fa poca propaganda sul fatto che l’Italia abbia smesso di crescere economicamente non dal primo di gennaio del 2002, momento dell’effettiva entrata in vigore dell’euro, bensì da circa dieci anni prima di quella data. Semplificando al massimo, le ragioni sono storiche (la caduto del muro di Berlino e la fine ufficiale della Guerra Fredda) e politiche (non avendo compreso quanto fosse cambiato il mondo politicamente ed economicamente con quell’evento, la nostra classe politica non ha effettuato le riforme strutturali indispensabili per adattare il nostro Paese al suo nuovo ruolo – tendenzialmente molto meno influente – nel globo). Ciononostante, proprio a cavallo fra il 2001 e il 2002 abbiamo avuto una seconda occasione per adeguare il nostro Stato al nuovo corso perché l’assetto mondiale è cambiato nuovamente per ragioni storiche (l’attacco alle Torri Gemelle del 9 settembre 2011) e politiche (con l’arrivo di una moneta più forte, avremmo dovuto rivedere i nostri piani industriali e commerciali per il medio-lungo periodo).
    Non smetterò mai di far notare come il tasso di disoccupazione nella Germania di quindici anni fa fosse molto simile al nostro attuale (superiore al 10%) e come il governo Schröder, che si è trovato a gestire il passaggio dal marco all’euro, riformando l’impianto complessivo dello Stato, ha fatto sì che oggi la Germania sia, come la definiscono gli analisti, la “locomotiva d’Europa”. Questo perché la lungimiranza non produce effetti immediati, ma duraturi nel futuro.

    P.S.: trovo l’idea che i Veneti siano in media più operosi degli altri italiani davvero inaccettabile. Forse se si iniziasse a mettere in discussione se stessi prima ancora di mettere in discussione gli altri, si scoprirebbero molte cose. Non si possono prendere casi particolari tratti dalla propria esperienza limitata e pretendere che costituiscono la regola. In fondo, un altro detto popolare mette in evidenza come tutto il mondo sia paese (con la p minuscola). Non mi riferisco esplicitamente a te, beninteso, ma alla abitudine malsana e generalmente diffusa di considerarsi i migliori laddove, se solo si alzasse lo sguardo, ci si renderebbe conto di essere, perché no, a fondo classifica. Nonostante questo, giacché scrivi che le presunte ragioni della maggiore operosità dei veneti sono “facili da spiegare e confermare”, fammi luce. Sebbene scettico, sono pronto a ricredermi se posto dinnanzi all’incontestabilità. 😀

    #997814
    meruz
    Membro

    non quoto di nuovo per lo stesso motivo

    Hai chiarito la tua posizione sulla scozia, grazie. 😀

    Sull’uscita dall’euro la mia posizione era “Sono d’accordo che un veneto indipendente e fuori eu muore in 2 mesi.”, quindi no, non vedo fattibile una moneta propria. Sono a favore dell’euro, anche se mi piacerebbe capire un po’ meglio le dinamiche in atto al momento dell’ideazione del cambio che poi avrebbe portato all’introduzione della moneta unica.

    Io poi per esempio considero inaccettabile il fatto che una regione più ricca essere considerata fortunata? aiutata? o chissà che altro. L’economia di una parte dell’italia è notevolmente più avanzata non per qualche aiuto dall’alto, al contrario, la tassazione e la redistribuzione del reddito sono una chiara prova contro la “fortuna” e gli “aiuti”. Non sono poi qui a santificare il veneto, ben sapendo che risulta la regione col più alto tasso di evasione fiscale in italia, ma di fatti per supportare quanto dico penso di poterne provare abbastanza da poter affermare che non si tratta di eccezioni. Anche piccole cose, sceme, ma che dimostrano un diverso approccio.

    Quando dicevo del clima, non scherzavo! Ci sono delle ricerche (credo non fatte sull’italia) che associano la produzione del reddito e il benessere più in generale, a fattori climatici e ambientali. Ricordo ora una ricerca che associava il più alto tasso di suicidi in europa (appartenente ad una delle nazioni scandinave) proprio al clima non così favorevole all’uomo. Non è un caso che il nord italia sia considerato in una zona da clima continentale (germania, austria, ecc.), come non è un caso di altri paesi che ho citato essere in una zona prettamente da clima mediterraneo. Effettivamente motivi ambientali/climatici possono influenzare l’economia, seppur non sono qui a dire che siano l’unica causa o che non si possano “vincere”.

    Permettimi di correggere il tiro sul “facili da spiegare e confermare”, visto che purtroppo mi rendo conto di usare certe espressioni con facilità per colpa di altre cose :D. Con facili da spiegare intendo che una spiegazione la trovo molto facilmente, non è detto che sia giusta, ma è una buona ipotesi ed è difficile da abbattere, forse un “facili da ipotizzare” ci sta meglio?

    #997816

    @winston: riguardo il consenso rispetto all’ipotesi dell’indipendenza, mi sono basato più su alcuni sondaggi che sui dati dell’effettiva partecipazione al referendum, che non trovo affidabili. Ti consiglio di dare un’occhiata all’analisi di Ilvo Diamanti, che trovo molto lucida e che condivido pienamente

    L’indipendenza del Veneto non è uno scherzo Bocciato lo Stato centrale, no alla politica locale – Repubblica.it

    Per il resto sono d’accordo più o meno su tutto. Che con l’Unità d’Italia il sud sia stato letteralmente rapinato è storia ( (cit.) ). Ovviamente proclamare l’indipendenza dopo aver subito la rapina ed aver visto la propria economia essere danneggiata (forse) irreparabilmente sarebbe controproducente, e soprattutto nella situazione attuale credo che nessuna regione del sud avrebbe la capacità di essere indipendente.

    Ci tengo a sottolineare questo punto di vista: credo che il fatto che al sud si sia così “italiofili” mentre al nord (in particolare Lombardia e Veneto, meno in Piemonte. E’ un caso?) si sia tendenzialmente più indipendentisti non sia dovuto semplicemente alla situazione economica attuale, che vede il sud “bilanciato” economicamente dal nord, ma anche e soprattutto alle ragioni storiche di cui si parlava su. Come a dire: credo che nel corso delle generazioni la consapevolezza di aver subito un processo di unificazione che ha determinato dei danni enormi dal punto di vista economico abbia fatto radicare nei meridionali un’idea riassumibile con un “ora col cazzo che ve ne andate!”, e che quest’idea si sia trasmessa col passare del tempo, magari anche svincolandosi dalle ragioni che l’hanno indotta (nel senso che molti che ora dicono “col cazzo” probabilmente non sanno neanche, per fare un esempio, del modo in cui è stato gestito il debito pubblico pre- e post-unitario, delle politiche (anti)protezionistiche, della “piemontesizzazione” e di tante altre cose che sicuramente ignoro, che rappresentano le principali ragioni del declino economico delle regioni meridionali in seguito all’Unità).
    Io penso quindi che l’indipendenza o la secessione delle regioni settentrionali sarebbe un’ingiustizia storica, perché ingiuste (ma a svantaggio in particolare del sud) sono state le modalità con cui si è giunti all’Unità. E qualunque altra ingiustizia successiva che possa essere messa sul piatto della bilancia (ad esempio il residuo fiscale attuale tra nord e sud) secondo me avrà un peso specifico minore, perché figlia dell’ingiustizia che si è verificata inizialmente.
    Questa è una delle ragioni per cui tutte le soluzioni che hanno come conseguenza il dissolvimento dell’Unità nazionale mi troveranno sempre contrario.

    Faccio una seconda premessa: qualunque Repubblica deve reggersi necessariamente su alcuni princìpi, e uno di questi è il principio di solidarietà. Se chiedeste a chiunque se è giusto che chi guadagna 200.000 euro l’anno paghi in proporzione più tasse di chi ne guadagna 20.000, penso che otterreste una sola risposta: sì. E questo per un principio molto semplice: chi all’interno di una comunità ha di più è giusto che contribuisca ad aiutare chi ha di meno. Questo è un principio secondo me sacrosanto, e che vale sia a livello individuale che a livello collettivo: in una nazione è giusto che le regioni più ricche contribuiscano al sostegno di quelle più povere, in una regione è giusto che le province più ricche contribuiscano al sostegno di quelle più povere, in una provincia è giusto che i comuni più ricchi contribuiscano al sostegno di quelli più poveri.
    Nel momento in cui si chiede che il 100% delle tasse del Veneto rimangano in Veneto, semplicemente si fa venire meno questo principio. Se fossi un anti-indipendentista veneto proporrei provocatoriamente (ma facendo finta di essere serio) la costituzione di una Repubblica Autonoma di Venezia: perché i veneziani devono pagare i servizi anche per quei terroni di Rovigo?

    Detto questo, solidarietà è diverso da assistenzialismo, e non si può negare che è ingiusta anche la situazione attuale, con il 30% delle tasse pagate dai veneti che vanno altrove. Tra solidarietà ed assistenzialismo è difficile mettere un limite quantitativo, ma mi sentirei di dire che una percentuale così elevata rientrerebbe più nella seconda definizione che nella prima, mentre per una percentuale del 9-10% sarebbe il contrario.
    E quando dici che prima di ristrutturare il sistema fiscale bisognerebbe eliminare gli sprechi sono d’accordissimo. Il punto è che nulla di tangibile si sta facendo in questo senso, e quindi io capisco chi è stanco di aspettare e voglia il federalismo fiscale senza che questo sia preceduto da una fase (verosimilmente abbastanza lunga) di riordino delle spese e di sviluppo dell’economia delle regioni del sud.
    Insomma, comprendo il malessere dei veneti, condivido alcuni dei princìpi che stanno alla base della protesta, non condivido minimamente la soluzione proposta.
    I problemi non riguardano sicuramente solo il Veneto, ma proprio per questa ragione, se fossi in chi governa, coglierei la palla al balzo per dire “cari veneti, il vostro messaggio di disagio è arrivato forte e chiaro, la soluzione non può essere quella che proponete, ma ora ci rimboccheremo le maniche per ridisegnare il sistema fiscale in maniera più equa per voi e per gli altri”. Ovviamente si agirebbe su aspetti che come dici tu riguardano tutte le regioni, ma in questo modo si prenderebbero due piccioni con una fava: si toglierebbero argomenti e forza ai movimenti indipendentisti e nel contempo si agirebbe nell’interesse non solo dei veneti, ma degli italiani tutti.

    Riguardo il fatto che le ragioni degli indipendentisti siano esclusivamente economiche (ma sulle questioni economiche, molto meno rilevanti, è anche incentrata quasi tutta la propaganda dei secessionisti scozzesi), penso che ci sia poco da discutere. Anche qui, si potrebbe fare un parallelo tra il livello individuale e quello collettivo. A livello individuale, per un imprenditore ad esempio, ci sono due strade per ottenere più soldi: la prima, più facile, è quella di evadere le tasse; la seconda, più difficile, è quella di pagare le tasse fino all’ultimo centesimo, contribuendo (impercettibilmente, ma sostanzialmente) allo sviluppo dell’economia entro la quale ti muovi, e cercando di offrire un servizio migliore rispetto ai concorrenti, quindi investendo in ricerca ed innovazione. A livello collettivo, se si fa parte di una comunità disomogenea economicamente, esistono anche qui due strade: la prima, più facile, è quella di liberarsi della componente economicamente più debole; la seconda, più difficile, è scegliere una classe dirigente onesta e capace (quindi cercare di dotarsi degli strumenti per farlo), coltivare il senso dello Stato, rifiutare ogni comportamento che vada contro gli interessi della collettività, ecc.
    Noi italiani, ovviamente, siamo sempre alla ricerca della strada più facile: non siamo in grado di pensarci come componenti di un collettivo, siamo individualisti da far schifo e tutte le cose che sappiamo. In questo i veneti sono identici ai siciliani, ai campani o ai calabresi (a proposito di differenze culturali). “Franza o Spagna purché se magna”: hai centrato il punto. E fin quando se magnava, andava bene persino l’Italia.

    Il fatto che a cavalcare la protesta, da quello che ho letto, siano soprattutto imprenditori ed autonomi, il fatto che il Veneto sia stato per anni la roccaforte di Lega e Forza Italia, il fatto che la retorica contro lo straniero (che sia terrone o negher) abbia attecchito più in Veneto che in altre parti d’Italia, secondo me può dare uno spaccato interessante del movimento indipendentista. Allo stesso modo, bisogna considerare il fatto che l’imprenditoria veneta è costituita per lo più da piccole e medie imprese, ovvero dalla tipologia di attività che soffrono maggiormente per la crisi. Tempo fa mi sembra di aver letto che il numero di suicidi di imprenditori sia stato di gran lunga maggiore in Veneto che altrove, anche in rapporto alla popolazione: questo secondo me è un dato sintomatico della situazione di sofferenza che un tessuto sociale come quello veneto sta vivendo in misura probabilmente anche maggiore rispetto a quello di altre regioni.
    Insomma, io penso che il movimento indipendentista comprenda sia chi è veramente disperato o in seria difficoltà e che avverte un inaccettabile senso di lontananza da parte delle istituzioni, sia i soliti trogloditi (secondo me più numerosi) che vogliono riempirsi le tasche di eurozzi, che vogliono chiudersi a guscio nel loro minuscolo mondo rassicurante e che se il Vesuvio eruttasse o farebbero festa o, nella migliore delle ipotesi, non batterebbero ciglio.
    La mia ovviamente è una semplificazione, ma il movimento indipendentista è costituito da diverse anime, quelle più becere ma anche altre, ed è alimentato da un disagio sociale estremamente diffuso: penso che sottovalutare questa “voglia di indipendenza” sarebbe un errore madornale da parte di chi ci governa, e che cominciare ad agire seriamente per ridurre gli sprechi e ridisegnare la fiscalità tra Stato e Regioni sia ormai una priorità.
    Anche perché in autunno ci saranno due referendum indipendentisti (Scozia e Catalogna) e se in entrambi dovesse vincere il “Sì” i movimenti indipendentisti nostrani riceverebbero una spinta propulsiva fortissima e secondo me molto pericolosa.

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    #997817

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    Una mia considerazione poi, rivedendo la ripartizione del gettito fiscale, si rivedono indirettamente gli sprechi: regione “pincopalla” avrà a disposizione “x” euro il prossimo anno, importo stimato usato certi criteri, o pincopalla rivede gli sprechi o fallisce e allora semplicemente si trovano i responsabili.

    Anche qui sono d’accordo su quasi tutto. Faccio un piccolo appunto sulla frase che ho quotato: non è così semplice. Perché se pincopalla fallisce ci vanno di mezzo centinaia di migliaia se non milioni di persone. E’ necessario che il passaggio avvenga in modo tale che pincopalla sia messo nelle condizioni di non poter ragionevolmente fallire. Ovvero: il taglio degli sprechi, la razionalizzazione della spesa e quant’altro deve precedere il riordino, non (o almeno, non solo) seguirlo, dato che si tratta di prerequisiti che dovrebbero consentire alle varie regioni di essere fiscalmente più autonome.
    Insomma, è come buttare in acqua un tizio che non sa nuotare: c’è chi pensa che la necessità aguzzi l’ingegno, e che trovandosi in una situazione di estrema difficoltà il tizio in qualche modo si ritrovi a poter nuotare; c’è chi pensa che prima di buttarlo in acqua bisogna almeno insegnargli a galleggiare. Visto che c’è di mezzo lo stato sociale, direi che la strada da seguire, più prudente, sia la seconda. Ma bisogna imboccarla alla svelta e con una certa urgenza, perché è comprensibile che qualcuno si sia stancato di sentirsi un salvagente.

    #997824

    Io poi per esempio considero inaccettabile il fatto che una regione più ricca essere considerata fortunata? aiutata? o chissà che altro. L’economia di una parte dell’italia è notevolmente più avanzata non per qualche aiuto dall’alto, al contrario, la tassazione e la redistribuzione del reddito sono una chiara prova contro la “fortuna” e gli “aiuti”. Non sono poi qui a santificare il veneto, ben sapendo che risulta la regione col più alto tasso di evasione fiscale in italia, ma di fatti per supportare quanto dico penso di poterne provare abbastanza da poter affermare che non si tratta di eccezioni. Anche piccole cose, sceme, ma che dimostrano un diverso approccio.

    Sì, ma ti sei mai chiesto come mai la Lombardia sia la regione più ricca d’Italia, sebbene la maggior parte degli attuali lombardi siano “terroni” di prima, seconda o terza generazione? Prova a guardare le cose da una prospettiva diversa e magari giungerai a conclusioni diverse. Il punto non è se aiutare o meno: l’aiuto a chi ha di meno è giusto sempre. Il punto è se quell’aiuto ha come obiettivo lo sviluppo del bisognoso in modo che in futuro possa camminare sulle sue gambe o se serva solo a farsi belli con i conoscenti o come scusa in caso di fallimento. In Italia, ad oggi, un piano serio per lo sviluppo del Sud non è mai stato messo in atto. E la colpa non è solo degli abitanti del Sud, che, se non fossero operosi, non andrebbero al Nord o all’estero a lavorare e in svariati casi ad avere successo garantendo un futuro migliore per i figli. Ripeto, le piccole cose, magari sceme, sono quello che sono, ossia piccole cose, magari sceme: non cambiano il fatto che siamo tutti esseri umani. Clima e alimentazione, studi scientifici a parte, contano fino a un certo punto, ma non hanno effetto sulla volontà, semmai sul fisico (ma a quel punto, che colpa ne ha chi nasce in posti con climi che sono meno concilianti con il lavoro duro? Non si tratta, per l’appunto, di (s)fortuna?).

    Permettimi di correggere il tiro sul “facili da spiegare e confermare”, visto che purtroppo mi rendo conto di usare certe espressioni con facilità per colpa di altre cose :D. Con facili da spiegare intendo che una spiegazione la trovo molto facilmente, non è detto che sia giusta, ma è una buona ipotesi ed è difficile da abbattere, forse un “facili da ipotizzare” ci sta meglio?

    Eh, finché non espliciti queste ipotesi è un po’ difficile stabilire quale dicitura stia meglio. :asd:

    Insomma, comprendo il malessere dei veneti, condivido alcuni dei princìpi che stanno alla base della protesta, non condivido minimamente la soluzione proposta.
    I problemi non riguardano sicuramente solo il Veneto, ma proprio per questa ragione, se fossi in chi governa, coglierei la palla al balzo per dire “cari veneti, il vostro messaggio di disagio è arrivato forte e chiaro, la soluzione non può essere quella che proponete, ma ora ci rimboccheremo le maniche per ridisegnare il sistema fiscale in maniera più equa per voi e per gli altri”. Ovviamente si agirebbe su aspetti che come dici tu riguardano tutte le regioni, ma in questo modo si prenderebbero due piccioni con una fava: si toglierebbero argomenti e forza ai movimenti indipendentisti e nel contempo si agirebbe nell’interesse non solo dei veneti, ma degli italiani tutti.

    In fin dei conti era ed è questo il succo del mio ragionamento. :asd:
    Ho letto con interesse l’articolo che hai linkato, che offre la visione attraverso uno spaccato ideologico tipico di certi luoghi e prova a quantificarlo. Il punto più significativo di tutto il pezzo, però, mi pare che sia il seguente, che riporto fra virgolette: “nettamente“. I giovani veneti sono quelli che abiteranno la terra non per i prossimi vent’anni, ma per i prossimi sessant’anni. Quanto è giusto, da parte dei loro padri e dei loro nonni, imporre loro una condizione che non condividono? Inoltre, come mai questa discrepanza fra le posizioni dei più giovani e quelle dei più anziani? Scolarizzazione maggiore delle nuove leve rispetto ai veterani (sebbene ci sia un forte fenomeno di analfabetismo di ritorno negli ultimi tempi in Italia)? Differente sistema di valori alla base del pensiero politico? Disparità delle esperienze di vita? Sicuramente tutti e tre questi fattori e anche altri. Una cosa, però, secondo me non va mai dimenticata: più di ogni altra cosa, la faida fra indipendentisti, nazionalisti ed europeisti è una questione ideologica. La mia posizione è questa: il mondo è in continuo mutamento; il progresso, nonostante qualche fase di stallo o addirittura di momentaneo regresso, è inevitabile; ci si può opporre alla corrente, ma si finirà inesorabilmente coll’essere travolti dal Tempo e dalla Storia. Dunque, perché opporsi? Dopo le brutture del secolo scorso, l’Europa è riuscita a creare un periodo di pace che probabilmente non si era mai visto prima e ciò proprio grazie alla cooperazione politica fra i vari Stati. Vale la pena ritornare a scannarsi sulla ridefinizione dei confini? Vale la pena chiudersi nel guscio e rimpiangere un passato glorioso (che tra l’altro, così glorioso non era, perlomeno non rispetto a quello che ci può offrire l’oggi se si è in grado di coglierlo)? Vale la pena fare recriminazioni sul passato e pretendere soddisfazione giurando vendetta nell’ombra? Io dico di no. Molto meglio guardare al futuro che possiamo costruire noi, tutti insieme, anziché subire il passato prodotto da altri. La storia si studia proprio per non ripetere gli stessi schemi e gli stessi errori generati in precedenza, non per sperimentare sulla propria pelle cosa significavano certe situazioni. Quello è masochismo.

    #997826
    meruz
    Membro

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    Anche qui sono d’accordo su quasi tutto. Faccio un piccolo appunto sulla frase che ho quotato: non è così semplice. Perché se pincopalla fallisce ci vanno di mezzo centinaia di migliaia se non milioni di persone. E’ necessario che il passaggio avvenga in modo tale che pincopalla sia messo nelle condizioni di non poter ragionevolmente fallire. Ovvero: il taglio degli sprechi, la razionalizzazione della spesa e quant’altro deve precedere il riordino, non (o almeno, non solo) seguirlo, dato che si tratta di prerequisiti che dovrebbero consentire alle varie regioni di essere fiscalmente più autonome.
    Insomma, è come buttare in acqua un tizio che non sa nuotare: c’è chi pensa che la necessità aguzzi l’ingegno, e che trovandosi in una situazione di estrema difficoltà il tizio in qualche modo si ritrovi a poter nuotare; c’è chi pensa che prima di buttarlo in acqua bisogna almeno insegnargli a galleggiare. Visto che c’è di mezzo lo stato sociale, direi che la strada da seguire, più prudente, sia la seconda. Ma bisogna imboccarla alla svelta e con una certa urgenza, perché è comprensibile che qualcuno si sia stancato di sentirsi un salvagente.

    Mi autocito: “Poi, ho voluto restare sul vago di proposito perché un taglio netto è controproducente..”, giusto per dire che in parte mi trovi d’accordo. In parte nel senso che abbiamo visto (sentito?) parlare di riorganizzazioni varie per anni senza successo, quello che penso è qualcosa tipo: regione pincopalla, avrai una riduzione dei fondi dell’x% a partire da due anni a questa parte per y anni fino a raggiungere l’obiettivo z. Comunque, un sistema graduale che appunto permetta la sopravvivenza del sistema come giustamente dici. Quando si parla di denaro, sono tutti portati a prendere le cose più seriamente credo.

    Sì, ma ti sei mai chiesto come mai la Lombardia sia la regione più ricca d’Italia, sebbene la maggior parte degli attuali lombardi siano “terroni” di prima, seconda o terza generazione? Prova a guardare le cose da una prospettiva diversa e magari giungerai a conclusioni diverse. Il punto non è se aiutare o meno: l’aiuto a chi ha di meno è giusto sempre. Il punto è se quell’aiuto ha come obiettivo lo sviluppo del bisognoso in modo che in futuro possa camminare sulle sue gambe o se serva solo a farsi belli con i conoscenti o come scusa in caso di fallimento. In Italia, ad oggi, un piano serio per lo sviluppo del Sud non è mai stato messo in atto. E la colpa non è solo degli abitanti del Sud, che, se non fossero operosi, non andrebbero al Nord o all’estero a lavorare e in svariati casi ad avere successo garantendo un futuro migliore per i figli. Ripeto, le piccole cose, magari sceme, sono quello che sono, ossia piccole cose, magari sceme: non cambiano il fatto che siamo tutti esseri umani. Clima e alimentazione, studi scientifici a parte, contano fino a un certo punto, ma non hanno effetto sulla volontà, semmai sul fisico (ma a quel punto, che colpa ne ha chi nasce in posti con climi che sono meno concilianti con il lavoro duro? Non si tratta, per l’appunto, di (s)fortuna?).

    Eh, finché non espliciti queste ipotesi è un po’ difficile stabilire quale dicitura stia meglio. :asd:

    In fin dei conti era ed è questo il succo del mio ragionamento. :asd:
    Ho letto con interesse l’articolo che hai linkato, che offre la visione attraverso uno spaccato ideologico tipico di certi luoghi e prova a quantificarlo. Il punto più significativo di tutto il pezzo, però, mi pare che sia il seguente, che riporto fra virgolette: “nettamente[/U]
    “Il punto non è se aiutare o meno: l’aiuto a chi ha di meno è giusto sempre.”. E come darti torto, ma trascuri la realtà secondo me.

    Seriamente credo che il clima influisca! Questa è la mia maggiore ipotesi al momento.

    Secondo me thin ha centrato il punto, c’è differenza tra assistenzialismo e aiuto.
    Porto un esempio banale ma che mi aiuta a pensare alla situazione (personalmente): se un genitore ha un bambino che piange qualsiasi cosa accada è giusto capire cosa accade e tentare di risolvere, ma cosa succede quando il bambino capisce che se piange ottiene quello che vuole e il genitore incapace (penso che ci siano pochi dubbi al riguardo :asd:) lo accontenta senza farsi troppe domande e senza risolvere il problema? Continuerà a piangere, e in quel momento il genitore, che ormai la cazzata l’ha fatta, deve farsi da parte, lentamente e dolorosamente, e lasciare il bimbo piangere finché non si “rimbocca le maniche”.
    Sarebbe meglio che la cazzata non fosse stata fatta? Certo, ma non si può cambiare il passato.

    Sui cicli storici poi potrebbe partire un altro bel discorso ma mi fermo ad una domanda: perché non può essere accettabile che un gruppo nutrito di persone non voglia ripetere l’errore di credere a qualcuno che dice che le cose cambieranno come è stato fatto per decadi? (Per restare a tema con la tua frase “La storia si studia proprio per non ripetere gli stessi schemi e gli stessi errori generati in precedenza, non per sperimentare sulla propria pelle cosa significavano certe situazioni.”)

    Dovrò poi riguardare qualche libro di storia, ma parliamo di razzie in un sud italia distrutto dall’ “amministrazione” dei borboni? Posso essermi perso qualcosa o potranno avermi condizionato, ma davvero sembra che abbiamo studiato delle storie diverse a volte.
    (A scanso di equivochi: nessuna ironia, seriamente, se avete fonti con cui smentire quanto dico aiutatemi ad acculturarmi 😀 )

    #997827

    Mi autocito: “Poi, ho voluto restare sul vago di proposito perché un taglio netto è controproducente..”, giusto per dire che in parte mi trovi d’accordo. In parte nel senso che abbiamo visto (sentito?) parlare di riorganizzazioni varie per anni senza successo, quello che penso è qualcosa tipo: regione pincopalla, avrai una riduzione dei fondi dell’x% a partire da due anni a questa parte per y anni fino a raggiungere l’obiettivo z. Comunque, un sistema graduale che appunto permetta la sopravvivenza del sistema come giustamente dici. Quando si parla di denaro, sono tutti portati a prendere le cose più seriamente credo.

    Allora avevo capito male, vista così è pienamente condivisibile 😀

    Dovrò poi riguardare qualche libro di storia, ma parliamo di razzie in un sud italia distrutto dall’ “amministrazione” dei borboni? Posso essermi perso qualcosa o potranno avermi condizionato, ma davvero sembra che abbiamo studiato delle storie diverse a volte.
    (A scanso di equivochi: nessuna ironia, seriamente, se avete fonti con cui smentire quanto dico aiutatemi ad acculturarmi 😀 )

    Il Sud Italia non era affatto distrutto. Aveva un basso tasso di alfabetizzazione ed aveva un sistema produttivo arretrato, ma il benessere economico era senz’altro superiore rispetto a quello del post-Unità d’Italia (anche immediato), e soprattutto l’economia era estremamente stabile. La pressione fiscale era bassissima, i tassi d’interesse sugli allora “bond” erano molto inferiori rispetto ai corrispettivi piemontesi, pontifici e lombardo-veneti ed il debito pubblico era ad un livello trascurabile rispetto al PIL, a differenza di quello del Regno di Sardegna. Dal punto di vista patrimoniale, e fra le tante forse questa è la ragione per cui si utilizza spesso il termine “rapina”, ti basti sapere che il controvalore in oro della moneta circolante nel Regno delle Due Sicilie era pari al doppio di quello della moneta circolante nel resto d’Italia (!): una quantità d’oro enorme (qualcuno, per divertirsi, ha fatto il conto di quanto varrebbe ora se fosse rimasto tutto in Italia, ed il risultato è qualcosa del tipo 4 volte il nostro debito pubblico), di cui una gran parte andò a coprire il debito di altri Stati pre-unitari, in particolare il Regno di Sardegna. Inoltre l’applicazione di un regime fiscale diverso da quello originario (con le aliquote nettamente più alte) fece sì che la struttura produttiva dell’ex Regno delle Due Sicilie collassasse, non essendo in grado di sostenere un’incremento della tassazione così repentino e di quella portata. Lo stesso fecero le politiche protezionistiche / antiprotezionistiche (vedi la “tariffa sarda” che venne applicata di punto in bianco alle industrie meridionali), che ebbero l’effetto non solo di indebolire il già non sviluppatissimo tessuto industriale del meridione, ma anche di proiettare le industrie del sud (il regime doganale borbonico era altamente protezionistico) a competere con quelle straniere senza essere minimamente strutturate per fare questo. E difatti il tasso di industrializzazione (che subito dopo l’Unità d’Italia era sì maggiore al nord, ma di poco) andò via via divergendo col passare degli anni. Lo stesso fece il PIL pro-capite, che prima dell’Unità d’Italia era pressoché lo stesso.

    Chiedi delle fonti, ma è un po’ come chiedere le fonti di quello che succedeva nei lager nazisti: boh, nel senso che le trovi ovunque 😀 ti basta cercare su internet un qualunque studio sulle condizioni economiche del meridione pre- e post-unitario: si tratta di dati difficilmente contestabili, su cui ovviamente ci sarà sempre chi solleva dei dubbi (come succede del resto anche per i negazionisti: il parere contrario lo trovi su qualunque fatto storico). I meridionalisti storici, pur con tutte le differenze di vedute (erano comunque tendenzialmente antiborbonici e filoitaliani, quindi sicuramente non di parte), sono sempre stati d’accordo sulla diagnosi, e cioè che l’Unità d’Italia sia stata fin da subito svantaggiosa per il sud e vantaggiosa per il nord. Cambia in particolare l’interpretazione di alcune tematiche di carattere sociale, ma il succo del discorso rimane lo stesso. Allo stesso Garibaldi, ex post, venne il dubbio di aver fatto una solenne minchiata (). Ti dirò di più, credo che anche i leghisti più spinti si tengano lontani dal negare certi dati: semmai daranno un maggior peso al malgoverno borbonico, e anche qui si potrebbe trovare una serie di argomenti condivisibili da tutti, o a differenze di carattere antropologico e culturale. Ma credo che nessuno possa negare che il Regno delle Due Sicilie (diversa cosa sono i suoi abitanti, e questa è una delle ragioni per cui, a mio parere, il governo dei Borbone ha anche connotazioni fortemente negative) fosse ricco ed economicamente solido, per quanto non fosse probabilmente destinato a diventare, anche per ragioni geografiche, il Nord Reno-Vestfalia del sud Europa (ma neanche un’area povera come è attualmente, secondo me).

    Ci sono moltissimi aspetti che andrebbero valutati, e certamente il Risorgimento non è all’origine di tutti i mali del Mezzogiorno (nessuno è così folle da sostenerlo), ma comunque il sud con l’Unità d’Italia ci ha rimesso innegabilmente, e i preesistenti fenomeni del brigantaggio e della criminalità più o meno organizzata hanno trovato terreno fertile per la diffusione, che ancora oggi paghiamo tutti quanti, nel malcontento popolare che la crisi economico-sociale successiva all’unificazione ha generato.

    Poi come sarebbe andata senza l’Unità d’Italia nessuno può saperlo.

    #997912

    Il Sud Italia non era affatto distrutto. Aveva un basso tasso di alfabetizzazione ed aveva un sistema produttivo arretrato, ma il benessere economico era senz’altro superiore rispetto a quello del post-Unità d’Italia (anche immediato), e soprattutto l’economia era estremamente stabile. La pressione fiscale era bassissima, i tassi d’interesse sugli allora “bond” erano molto inferiori rispetto ai corrispettivi piemontesi, pontifici e lombardo-veneti ed il debito pubblico era ad un livello trascurabile rispetto al PIL, a differenza di quello del Regno di Sardegna. Dal punto di vista patrimoniale, e fra le tante forse questa è la ragione per cui si utilizza spesso il termine “rapina”, ti basti sapere che il controvalore in oro della moneta circolante nel Regno delle Due Sicilie era pari al doppio di quello della moneta circolante nel resto d’Italia (!): una quantità d’oro enorme (qualcuno, per divertirsi, ha fatto il conto di quanto varrebbe ora se fosse rimasto tutto in Italia, ed il risultato è qualcosa del tipo 4 volte il nostro debito pubblico), di cui una gran parte andò a coprire il debito di altri Stati pre-unitari, in particolare il Regno di Sardegna. Inoltre l’applicazione di un regime fiscale diverso da quello originario (con le aliquote nettamente più alte) fece sì che la struttura produttiva dell’ex Regno delle Due Sicilie collassasse, non essendo in grado di sostenere un’incremento della tassazione così repentino e di quella portata. Lo stesso fecero le politiche protezionistiche / antiprotezionistiche (vedi la “tariffa sarda” che venne applicata di punto in bianco alle industrie meridionali), che ebbero l’effetto non solo di indebolire il già non sviluppatissimo tessuto industriale del meridione, ma anche di proiettare le industrie del sud (il regime doganale borbonico era altamente protezionistico) a competere con quelle straniere senza essere minimamente strutturate per fare questo. E difatti il tasso di industrializzazione (che subito dopo l’Unità d’Italia era sì maggiore al nord, ma di poco) andò via via divergendo col passare degli anni. Lo stesso fece il PIL pro-capite, che prima dell’Unità d’Italia era pressoché lo stesso.

    Altri fatti notori sono:
    – la scelta di centralizzazione politico-amministrativa del nuovo Regno d’Italia (al contrario di quanto avvenuto, ad esempio, negli Stati Uniti d’America), che implicava che ogni decisione dovesse essere presa e approvata dal Piemonte, che per ovvie ragioni non aveva la minima idea delle differenze che intercorrevano fra il tessuto socio-economico del settentrione e quello dell’ex Regno delle Due Sicilie;
    – la decisione di accorpare il debito pubblico del Regno di Sardegna (al momento dell’Unità ormai vicino al fallimento) a quello del nuovo Regno d’Italia, scaricando quindi la pressione fiscale tutta sulle spalle degli Stati preunitari e in particolare su quelle del Sud, dove, come ha spiegato Thin, le imposte erano molto basse rispetto a quelle in vigore nel Nord Italia;
    – l’istituzione della leva militare obbligatoria, inesistente nel Regno delle Due Sicilie, che sottrasse alle famiglie del Mezzogiorno la manodopera necessaria per il lavoro dei campi, allora fonte indispensabile per l’approvvigionamento di viveri (questa decisione fu tra le cause principali della nascita del fenomeno del “brigantaggio”);
    – l’introduzione dell’odiosa massa sul macinato, che causò disagi gravissimi tra le classi sociali più povere (la larga maggioranza dei cittadini a quell’epoca);
    – la confisca dei territori ecclesiastici e la loro privatizzazione, che per come fu gestita permise sostanzialmente a pochi privilegiati di accaparrarsi tutte le terre, che furono recintate e il cui accesso per uso civico fu impedito al ceto contadino: in pratica il feudalesimo fu sostituito dal monopolio, con la notevole differenza che nel nuovo ordine di regime venne meno qualsiasi forma minima di assistenzialismo, che per quanto inadeguata e probabilmente indecente secondo gli standard moderni faceva comunque in moltissimi casi la differenza fra la sopravvivenza e la morte.

    Meruz, su un argomento come questo c’è davvero tanto da dire, forse persino troppo, quindi non farai fatica alcuna a reperire materiale, proveniente anche da fonti autorevolissime nel caso in cui non ti voglia affidare al sapere relativista che offre internet. Ad ogni modo, mi pare assurdo che sui libri di storia su cui hai studiato non ci fosse traccia della questione meridionale. È molto più probabile che tu non ci abbia prestato particolare attenzione o che ti sia inconsapevolmente fatto condizionare dalla propaganda di certi soggetti, come tu stesso hai più o meno scherzosamente ipotizzato. Comprendere il motivo per cui il Sud oggi è in queste condizioni (quindi conoscere la sua storia, che poi solo sua non è, come vedi) è un requisito fondamentale per poter parlare di ingiustizia sociale, redistribuzione, federalismo, piano industriale. Insomma, temi non da poco e sui quali chiunque (giustamente) vuole dire la propria. Bisogna prestare particolare attenzione, però, al rischio delle ideologie di conflittualità Nord-Sud che molti in Italia hanno alimentato per ignoranza o in malafede, in particolar modo al Nord negli ultimi decenni e di cui la Lega è l’esempio più emblematico giacché fa di questa presunta “superiorità morale e industriale della Padania” uno dei punti cardine del suo pensiero politico. :icon_smile:

    #997927

    Altri fatti notori sono:
    – la scelta di centralizzazione politico-amministrativa del nuovo Regno d’Italia (al contrario di quanto avvenuto, ad esempio, negli Stati Uniti d’America), che implicava che ogni decisione dovesse essere presa e approvata dal Piemonte, che per ovvie ragioni non aveva la minima idea delle differenze che intercorrevano fra il tessuto socio-economico del settentrione e quello dell’ex Regno delle Due Sicilie;
    – la decisione di accorpare il debito pubblico del Regno di Sardegna (al momento dell’Unità ormai vicino al fallimento) a quello del nuovo Regno d’Italia, scaricando quindi la pressione fiscale tutta sulle spalle degli Stati preunitari e in particolare su quelle del Sud, dove, come ha spiegato Thin, le imposte erano molto basse rispetto a quelle in vigore nel Nord Italia;
    – l’istituzione della leva militare obbligatoria, inesistente nel Regno delle Due Sicilie, che sottrasse alle famiglie del Mezzogiorno la manodopera necessaria per il lavoro dei campi, allora fonte indispensabile per l’approvvigionamento di viveri (questa decisione fu tra le cause principali della nascita del fenomeno del “brigantaggio”);
    – l’introduzione dell’odiosa massa sul macinato, che causò disagi gravissimi tra le classi sociali più povere (la larga maggioranza dei cittadini a quell’epoca);
    la confisca dei territori ecclesiastici e la loro privatizzazione, che per come fu gestita permise sostanzialmente a pochi privilegiati di accaparrarsi tutte le terre, che furono recintate e il cui accesso per uso civico fu impedito al ceto contadino: in pratica il feudalesimo fu sostituito dal monopolio, con la notevole differenza che nel nuovo ordine di regime venne meno qualsiasi forma minima di assistenzialismo, che per quanto inadeguata e probabilmente indecente secondo gli standard moderni faceva comunque in moltissimi casi la differenza fra la sopravvivenza e la morte.

    Esattamente. E c’è da aggiungere, riguardo la parte che ho grassettato, che delle politiche analoghe erano già state adottate in precedenza nei confronti di numerosissimi beni demaniali. Questo si tradusse in un ulteriore spostamento di capitali verso nord ed un impoverimento netto del centro-sud, dato che la maggior parte di quei terreni (che comunque appartenevano a quelle aree) venne acquistata dai grandi proprietari terrieri del posto.

    Schematizzando, potremmo dire che per una determinata area X, la situazione iniziale era

    terra (appartenente all’area x) + capitale di valore analogo a quella terra (appartenente al proprietario terriero dell’area x)

    e divenne dapprima

    terra (appartenente ora allo Stato) + capitale (appartenente al proprietario terriero dell’area x)

    e quindi

    terra (appartenente ora al proprietario terriero dell’area x) + capitale (appartenente ora allo Stato).

    Penso si capisca abbastanza chiaramente come una politica del genere vada ad esclusivo vantaggio dello Stato centrale e di pochi proprietari terrieri e a svantaggio dell’economia di quelle aree a cui i terreni appartenevano inizialmente (e dei contadini che ne usufruivano). Ovviamente l’entità del danno economico era direttamente proporzionale all’estensione complessiva dei terreni, ed è la ragione per la quale l’ex Regno delle Due Sicilie e l’ex Stato Pontificio vennero maggiormente penalizzati da quelle misure.

    #997929
    meruz
    Membro

    Grazie!
    E no, in 3 cicli in cui ho visto/sentito parlare di unità d’italia, mai una volta che qualcuno avesse sollevato seriamente il problema come lo spiegate voi, il che è alquanto triste devo ammettere. Diciamo che era meno scherzosamente di quanto immagini winston.

    (per la cronaca, non ero esattamente l’uomo dalle 60 assenze l’anno o proprio il peggiore, quindi posso affermare abbastanza con certezza quanto dico purtroppo)

    #997930

    Grazie!
    E no, in 3 cicli in cui ho visto/sentito parlare di unità d’italia, mai una volta che qualcuno avesse sollevato seriamente il problema come lo spiegate voi, il che è alquanto triste devo ammettere. Diciamo che era meno scherzosamente di quanto immagini winston.

    (per la cronaca, non ero esattamente l’uomo dalle 60 assenze l’anno o proprio il peggiore, quindi posso affermare abbastanza con certezza quanto dico purtroppo)

    Se ti può consolare penso che siano mancanze abbastanza diffuse, nel senso che a scuola si sente, sì, parlare di questione meridionale, ma il tutto inquadrato all’interno del mito risorgimentale, per il quale si fa anche parecchia retorica. E’ successo a te, a me e credo sia successo a (quasi) tutti.
    D’altronde in parte lo capisco, per quanto la si possa considerare una cosa “scorretta”: è ovvio che i libri di testo delle scuole italiane (ma anche altre fonti autorevoli) abbiano un’impronta filo-italiana (nel significato di Italia unita), è ovvio che si parli di Cavour e Garibaldi come di eroi, ed è comprensibile che si ritenga inopportuno instillare negli studenti dei dubbi sulle modalità con cui si è giunti all’Unità nello stesso momento in cui si cerca di trasmettere loro quello che definiamo “senso civico”. Raccontare a ragazzi di 13 o 17 anni le dinamiche esatte che hanno portato all’Unità d’Italia, data la delicatezza estrema dell’argomento, potrebbe alimentare i germi del campanilismo e dell’anti-statalismo, che già di per sé sono malattie troppo, troppo diffuse.
    L’importante, come diceva winston qualche post fa, credo sia aver ben presente la storia, che fortunatamente si può conoscere anche al di là di quello che raccontano i testi scolastici, ma guardare avanti. Di soluzioni di buon senso, se solo cominciassimo ad evolverci, se ne troverebbero a centinaia, e di sicuro non c’è necessità di soluzioni anti-storiche demenziali come delle Guerre di Indipendenza al contrario. Anziché prendercela astrattamente con lo Stato e cercare di rinnegarlo dovremmo prendercela con chi lo Stato lo costituisce e non fa la propria parte, che si tratti di un politico, di un conoscente o del tizio che compare allo specchio.

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