Dylan Dog: un detective tra zombi e vampiri!

di Ciampax Commenta

 Dopo aver parlato, la volta scorsa, del primo numero di Dylan Dog, “L’alba dei Morti Viventi”, sottolineando i punti fondamentali su cui si basa questa longeva serie, oggi voglio spostare la mia attenzione sul numero 2 degli albi dedicati a questo personaggio, “Jack lo Squartatore”, di cui vedete, di fianco, la copertina originale, per sottolineare un altro argomento fondamentale su cui poggiano molte (se non tutte, in un certo senso) le storie del nostro Indagatore: l’investigazione (condita sempre da qualche pizzico di “paranormale”) appunto. La storia di questo albo è molto semplice: durante una seduta spiritica (che puzza di farsa lontano un chilometro) una sedicente medium, grazie alla presenza di Dylan (che scopriamo essere un catalizzatore paranormale eccezionale, meglio di un’antenna parabolica!) evoca nientepocodimenoche lo spirito di Jack The Ripper, per gli amici “Lo Squartatore”! Andrebbe tutto bene (tranne per le finanze dei malcapitati partecipanti) se non fosse che, a distanza di poche ore, ciascuno di essi inizia a morire… squartato! Dylan indagherà sulla faccenda, al fianco del buon vecchio Bloch (di cui parleremo prossimamente), scoprendo che, dietro la natura “che para-normale del fatto”, si cela una storia che “bada ben bada ben… è normale!” (cit. Ezio Greggio!)… ma per scoprire la verità vi lascio alla lettura di questa opera.

Per la natura stessa del “mestiere” del nostro eroe, la maggior parte delle sue avventure si tingono spesso di sfumature “noir” o “gialle”: i più importanti fautori (nel disegno) di questo genere di situazioni sono il duo Montanari & Grassani che sin dagli inizi hanno proposto le storie che seguono il filone più prettamente “giallo” spesso addirittura privo di quell’ingrediente sovrannaturale che accompagna le storie di Dylan. Tuttavia il metodo di indagine che Dylan utilizza, le sue deduzioni, lo stesso apporto che Groucho da, spesso e volentieri (anche se molte volte non in modo conscio) alla risoluzione degli enigmi rendono questi “misteri” qualcosa di particolare ed intricato, e la stessa presenza del soprannaturale e della “stranezza a tutti i costi” hanno fatto, del filone “poliziesco” di Dylan Dog una sorta di “capitolo a sé stante” nelle quasi 500 storie fino ad ora pubblicate (contando anche speciali e altro).

 Dylan non indaga né seguendo il classico metodo scientifico, né tramite un processo di ragionamento tipico da investigatore alla Sherlock Holmes o Hercule Poirot: le sue sono intuizioni del momento, basate sulla grande capacità di osservazione, la sua intelligenza e il suo “Quinto senso e mezzo”. Questa sorta di potere, di cui si parla fin dal principio della serie, è qualcosa a meta tra l’ispirazione deduttiva di Sherlock Holmes e una sorta di “sesto senso” superumano grazie al quale Dylan riesce ad intraverdere la verità tra le righe di ciò che gli si para davanti agli occhi: una sorta di terzo occhio (molto ridimensionato) che non solo lo aiuta con il suo mestiere (e che, comunque, viene a migliorare la natura innata di poliziotto che possiede, secondo l’ispettore Bloch) ma anche, e soprattutto, a fornirgli un legame con il “mondo dietro la coltre della realtà”, con luoghi al di fuori del nostro mondo e con esseri che non appartengono alla normalità. Le investigazioni di Dylan avvengono sempre su due piani: da una arte assistiamo allo studio di incartamenti, prove, dichiarazioni dei testimoni, tipiche di un qualsiasi poliziesco di successo, con il lento ma inesorabile avvicinarsi alla verità, a scoprire il colpevole, a braccare l’assassino fino a giungere a conclusioni che, il più delle volte, conducono ad una “punizione” quasi divina del “cattivo” di turno (ed è proprio ciò che accade nell’albo numero2).  Dall’altra, invece, ci sono situazioni oniriche, apparizioni (o allucinazioni, in certi casi), contatti con l’aldilà, visioni di fatti accaduti ma non noti, contatti con personaggi o oggetti che, involontariamente, forniscono degli indizi fondamentali, pure coincidenze (che per Dylan non esistono e che, quindi, dobbiamo imputare ad un Fato che vuole che il nostro pervenga a certe conclusioni) che permettono all’Indagatore in Blue Jeans di giungere alla verità attraverso strade (a volte sentieri di montagna irti di pericoli!) che sono preclusi ai normali investigatori (e più di una volta proprio Bloch, dopo l’ennesima rivelazione del suo giovane pupillo, esclama sconsolato “Non voglio sapere come hai fatto a scoprirlo!”). Nonostante nella maggior parte dei casi, questi “casi” (perdonate il gioco di parole!) risultano assolutamente spiegabili in maniera “concreta e scientifica”, senza bisogno di tirare in ballo poteri extrasensoriali o forze del male, anche quando si arriva alla fine di una storia in cui l’assassino è il più banale dei “maggiordomi”, si rimane con la sensazione che una forza misteriosa, benigna ma non bene comprensibile, si è mossa, lenta e silenziosa, di fianco a Dylan, per portarlo a comprendere, ragionare, scovare la verità: e questo lascia un senso di “mistero” non risolto, come se ancora qualcosa debba accadere, come se ci fossero punti oscuri da chiarire che, spesso in questi casi, vengono sottolineati da alcune tipiche scene di chiusura della serie, in cui vediamo Dylan che, alla conclusione delle indagini, riportando le vicende accadute sul suo diario, si interroga se ci sia ancora un “quid” avvolto nelle ombre che potrebbe spuntare fuori da un momento all’altro. E così, con questo senso di conclusione non conclusa, che fa sorgere dubbi e domande, chiudiamo l’albo e ci chiediamo chi sia il vero colpevole!

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