Dylan Dog: l’Indagatore dell’Incubo e l’Orrore!

di Ciampax Commenta

 Come accennavo nell’articolo di presentazione Dylan Dog: 25 anni di incubi!, a partire da oggi e per molti venerdì a seguire, intendo parlare di alcune caratteristiche peculiari del fumetto Dylan Dog: dai temi trattati, agli stili narrativi, dalla “cultura” che rende tale fumetto tanto particolare, alle tecniche con cui viene disegnato. Per fare ciò, intendo, di volta in volta, partire da un singolo albo e, da esso, tirare fuori quanto più si possa dire sull’argomento del giorno. Nell’articolo sopra citato, avevo lasciato da parte il mio giudizio sul primo numero di Dylan Dog, “L’alba dei morti viventi”, per due motivi: il primo era quello di non rendere ancora più lungo quell’articolo, il secondo lo troverete leggendo di seguito. Essendo il primo numero di una serie che, a breve, raggiungerà il traguardo del 300, questa prima storia doveva, per forza di cose, riuscire a definire, in toto, quello che Dylan Dog sarebbe stato per quelli che, di lì a qualche anno, lo avrebbero comprato e collezionato e che ne sarebbero rimasti ammaliati: bisognava concentrare, in 94 pagine (tante le tavole della prima storia) non solo le tematiche che fanno di quest’opera quello che è, ma anche alcune idee che sarebbero state sviluppate in futuro ma che, in un modo o nell’altro, dovevano essere presenti sin dalla prima avventura di questo eroe.

 Ovviamente, parlando di un fumetto che poggia le sue basi sull’Incubo e la paura, il primo numero, la prima storia, doveva, necessariamente, presentare l’orrore, il male e il modo in cui il nostro protagonista tenta di affrontarli e sconfiggerli nel migliore dei modi: anche se a mio parere la storia di per sé non è il massimo (altre storie scritte dal papà di Dylan, Tiziano Sclavi, rendono molto meglio le tematiche trattate nel numero 1), essa riesce, comunque, a trasmettere i concetti chiave di cui Dylan Dog, in questi 25 anni di pubblicazione, si è avvalso per narrare delle vicende che spaziano dall’orrore quotidiano della vita a quello più leggero (e forse anche meno spaventoso) dell’incubo fantastico dell’invenzione letteraria. Non a caso, sin dalle prime immagini risultano chiare due cose: 1) si tratta di un fumetto dell’orrore, vista la scena da “Zombie” con cui si apre la storia e 2) il modo in cui la “paura” entrerà a far parte delle vicende non sarà quello tipico di film e romanzi “horror” che, nella metà degli anni Ottanta, spopolavano quanto, oggi, potrebbe fare un film in animazione 3D.

 L’alba dei Morti Viventi si apre con una scena da manuale: la giovine donzella torna a casa e trova il marito, biologo, trasformato in un morto vivente. Che cosa fa allora, nella più alta e rigorosa tradizione delle opere di paura di quegli anni? Ovvio, no? URLA! E quell’urlo si trasforma, grazie alla magia del fumetto, nel suono del campanello di una casa, indirizzo “Craven Road 7”, sotto il quale campeggia la seguente targhetta: “Dylan Dog – Indagatore dell’Incubo”. Ecco, fino a qui tutto bene: il mostro, la bella, la situazione ai limiti del paradossale, sono tutti ingredienti tipici del miglior film horror di quei tempi. Se non che, ad aprire la porta, invece dell’eroe arriva Groucho, il suo assistente. E qui diventa chiaro ciò che dicevo prima: l’orrore, in Dylan Dog entra in modalità e tempistiche differenti rispetto alla classica storia di mostri e assassini.

 Immaginate di trovarvi, all’improvviso, di fronte un personaggio che, sin dall’aspetto, vi suscita due sentimenti contrastanti: la risata scellerata, quella incontrollabile a cui non potreste porre fine neanche se vi tappassero la bocca o vi estirpassero laringe e faringe, e quella forma di disgusto tipica che si prova per chi, durante una cena, tedia il resto dei commensali con ogni sorta di discorso sconclusionato e fuori luogo, tanto da scatenare, in chi lo deve sopportare, il perverso desiderio (o la vana speranza?) che la portata successiva contenga un qualche ingrediente al quale il soggetto sia allergico e gli causi, nella più rosea delle ipotesi, una morte per shock anafilattico. Ecco, Groucho si rivela tale e la sua presenza, in un fumetto di genere come Dylan Dog, dovrebbe suggerire una semplice e banale cosa: chiudi l’albo, esci fuori, compra un porno e divertiti! E invece noi continuiamo a leggerlo.

 Eh sì, perché dopo le prime battute (e sono proprio battute e sfortunatamente – o fortunatamente – non saranno le uniche che Groucho proferirà in 25 anni di storia editoriale), eccolo arrivare, in tutta la sua bellezza, la sua sfavillante armatura e i suoi poteri da “guardiano del bene”, il nostro eroe: Dylan Dog. E qui che capiamo, definitivamente che questo fumetto vuole, a tutti i costi, rompere con i cliché, con il passato, con storie trite e ritrite di eroi che affrontano il male, lo sconfiggono versando sangue, ma poi trionfano e si “trombano” la bella (questo lo fa anche Dylan, ma ne parleremo in un altra sede!). Dylan Dog, da perfetto inglese, si presenta così: “My name is Dog. Dylan Dog” (l’ho tradotto in inglese per rendere meglio la caratteristica presentazione “all-London”), e non veste nessuna armatura: solo un paio di jeans sgualciti, una camicia rosso sangue e una giacca nera sulle cui maniche sono risvoltati i polsini della camicia. Ai piedi non ci sono stivali d’oro o magici, ma semplici “Clarks” in camoscio chiaro (e non avete idea di quanto abbiano venduto dal 1986 ad oggi in Italia, grazie a questo fumetto!). Il nostro protagonista non ha superpoteri (ma un qualcosa di particolare sì… ed anche di questo parleremo un’altra volta) e non è affatto un eroe: come lui stesso si definirà, più di una volta “Come eroe faccio schifo, ma come anti-eroe sono perfetto!“. Insomma a leggere il primo albo di Dylan Dog pare chiaro, sin da subito che il concetto di “fumetto horror” è solo un pezzo di un puzzle molto più grande che, col passare degli anni, andrà a completare la classificazione di quest’opera.

 Dove sta, allora, il male, la paura, l’orrendo, il mostruoso? Tutto ciò viene incarnato, molto più che dagli zombi presenti in tutte le 94 pagine di questa prima storia, dal “cattivo” di turno…. che scopriremo essere tanto, tanto, tanto di più (e pure di questo, state sicuri, riparleremo): il Dott. Xabaras (anagramma di Abraxas, uno dei nomi del Diavolo), perfetto prototipo dello scienziato pazzo da Horror-B-Movie dell’epoca, il quale cerca (disperatamente?) di realizzare il siero della vita eterna… creando solo un virus che trasforma la gente in morti viventi (che alla Capcom abbiano copiato qualcosina quando hanno creato la saga di Biohazard – Resident Evil”? Magari Xabaras è il direttore capo della Umbrella Corporation!). E’ dagli scambi di battute tra il buono e il cattivo (in una scena degna di James Bond 007 – Missione Goldfinger, ma sin dall’inizio dell’albo le citazioni al buon agente dell’MI6 Britannico si sprecano) che apprendiamo, finalmente, dove si trova (e troverà) l’orrore in questo fumetto: mostri, fantasmi, paranormale, occulto, diavoli e angeli faranno solo da contorno, nelle storie dell’Indagatore, all’Incubo di cui egli stesso cercherà di dipanare le intricate matasse. Il vero orrore, il vero terrore, la Paura con la “P” maiuscola, di quelle che si vedono nei libri realizzati a mano da un monaco amanuense, tutte disegnate e arzigogolate, sta in qualcosa di molto più semplice, privo di “mistero” e di “paranormale” e lontano dal “mostro” e dallo “spirito”: l’animo umano!

Quando si finisce di leggere il primo numero di Dylan Dog risulta chiaro un concetto fondamentale: mostri e vampiri sono semplici paraventi dietro i quali il vero orrore, quello di tutti i giorni, quello del ragazzino che non cede il posto alla donna incinta sull’autobus, di due “litiganti” che si accoltellano per l’ultimo cornetto alla nutella nel bar, di una mamma che uccide il proprio figlio, dell’impiegato statale scorbutico, della burocrazia infinita e debilitante, della malattia che consuma un malato, in solitudine, in una camera dimenticata d’ospedale, della gente incapace di comunicare, dell’ipocrisia, si nasconde e prolifera. Il messaggio finale che Sclavi vuole lasciarci è semplice, banale, diretto e immediato, e forse, proprio per questo, terribile e spaventoso: non cercate l’orrore in Dylan Dog, non sperate di vedere in questa opera qualcosa di talmente raccapricciante da farvi dimenticare le brutture di ogni giorno. Un fumetto è solo un’opera di fantasia, carica di significati, molto spesso, ma né più né altro che questo. Il vero orrore, quello spaventoso e malefico, non è lì fuori: è dentro di noi!

Alla prossima settimana.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non verrà pubblicato.

You may use these HTML tags and attributes: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>